IL TEATRO DEI BURATTINI
(l’Architettura)
“LA GÈNESI”
IL CORO
Nel rincorrere le proprie paure, le proprie ansie [La paura e l’ansia sono intesi come stati emotivi necessari per la spinta alla sopravvivenza], l’Attore si specchia nelle ombre in cui si riconosce e si uniforma ad esse. In queste ombre cerca il significato della propria esistenza, le motivazioni dei propri desideri, dei propri bisogni.
In origine era l’acqua, il sole, la sopravvivenza primordiale la motivazione delle proprie azioni, il motore dei propri passi. L’Attore non era ancora nato non aveva alcuna necessità di esistere, era un non-Attore. I sassi da scansare, gli alberi da riconoscere, l’animale da uccidere o da cui fuggire erano in diretto rapporto con il non-Attore. Il rapporto era immediato la motivazione non aveva senso era lì presente: vivere o morire.
Lo spazio in cui viveva era solo un’entità da riconoscere non aveva nessuna necessità di essere plasmato. La strada era terra tra le piante, la casa era il luogo di sicurezza, di sopravvivenza. Il territorio non esisteva era solo il proprio dominio, non c’era il tramonto ma un affievolirsi della luce, il fiume era acqua, il mare era un luogo per reperire il cibo. Il non-Attore non aveva né paura né ansie, non aveva bisogno di ombre.
Nel suo interno era scritto tutto il suo comportamento; sapeva sempre che cosa fare e dove andare, non aveva bisogno del linguaggio ma degli oggetti formali del riconoscimento.
Egli però si riproduceva, riproduceva se stesso, e la riproduzione era sopravvivenza di sé e della propria specie [ed è in quest’atto che si perpetuava l’evoluzione della propria specie e il superamento della propria morte].
É nella necessità della sopravvivenza della specie che nasce l’Attore e insieme con esso l’Ombra.
Nel riprodursi e nel dover distinguere l’animale riprodotto dall’animale-cibo o animale-pericolo, il non-Attore deve necessariamente costruire la propria ombra e trasferirla sull’oggetto della propria riproduzione, per distinguerlo, trasferendo su di esso la propria necessità di sopravvivenza e insieme la sopravvivenza della specie.
Nasce così l’Ombra come oggetto di relazione ed è per relazionarsi con essa che il non-Attore diviene Attore.
L’oggetto della riproduzione deve essere scisso dall’oggetto reale deve essere ricoperto dall’ombra; ma la coscienza del reale è lì, è presente. Il non-Attore deve accedere alla menzogna deve diventare Attore deve, cioè, falsare l’oggetto reale della propria conoscenza identificando l’oggetto della riproduzione con la propria ombra
[Il concetto di “Ombra” è usato come fattore di necessità e come fattore prodotto dall’esigenza della sopravvivenza della specie].
L’Attore non vive più per la sopravvivenza ma la recita, nella misura in cui i suoi atti sono legati non solo alla propria sopravvivenza ma, in uno, anche alla sopravvivenza della specie. Per far ciò, quindi, l’Attore astrae le regole dalla propria esperienza e costruisce il proprio mondo di relazione: in embrione costruisce il linguaggio [È il passaggio dal rapporto soggetto-oggetto al rapporto mediato dal linguaggio inteso come prodotto della necessità di sopravvivenza della specie, come connettivo della necessità di esistenza di gruppi sociali].
Nel proprio ambiente, però, l’Attore non è solo, è parte di un “tutto”. Finché le proprie necessità erano solo legate al rapporto soggetto-oggetto, il “tutto” esisteva ma non era nella propria sfera di conoscenza: non serviva conoscerlo. Quando il non-attore diviene attore, il tutto entra nella sfera conoscitiva, l’ambiente diventa necessità: necessità di conoscenza. Esistono altri attori ma per ognuno gli altri sono ombre il riflesso delle proprie ombre, ciò che li unisce è la specie il bisogno della sopravvivenza della specie.
Gli attori recitano.
Ed è il Coro.
É il canto della specie, gli attori cantano con un ululato: l’ululato indistinto della sopravvivenza.
Questo canto si appropria dell’ambiente naturale che li circonda. L’ambiente naturale si trasforma in territorio, gli elementi della natura diventano “oggetti”, acquisiscono un nome. Gli elementi della sopravvivenza, da elementi indistinti diventano l’albero, la grotta, l’acqua, il fuoco.
L’ambiente naturale è il dominio non più dell’attore ma della specie, della propria specie.
IL SOLISTA
Il Coro sradica gli alberi per percorrere la foresta, ammucchia i sassi per difendersi dalla pioggia, dal vento e dal nemico della specie ma, lontano, emerge a volte un canto solitario.
L’attore sembra svanire, restano solo le ombre e il coro è un coro di ombre. Lentamente il coro modifica il suo tono e si uniforma al canto solitario nasce il Solista.
Il “solista” è una necessità del coro, è un’ombra che diviene attore non più per la propria sopravvivenza, ma per la sopravvivenza della specie: è prodotto e causa del coro.
Il Solista è il nuovo Attore nato dall’ombra, dalla necessità di una direzione di senso, dalla necessità di un valore direzionale [È il valore del contributo individuale come capacità di sintesi che è al contempo il prodotto ed espressione di un momento storico. Questo contributo individuale corrisponde in architettura, ad esempio, al concetto di “monumento” che è sì il prodotto dell’opera di volontà singole ma che diventa “monumento” nella misura in cui è l’espressione e la sintesi di una realtà storica].
In ogni attore-ombra c’è un solista, ed è questo che permette all’attore-ombra di riconoscere l’attore-solista; ed è in lui che l’attore-ombra trasferisce la propria necessità di essere solista, di avere una direzione di senso [È il processo di identificazione nel “mito” come identificazione delle proprie aspirazioni. Questo fenomeno è un fatto positivo come scelta di valore direzionale ma diventa negativo quando produce “alienazione” come conseguenza della ricerca di superamento delle proprie “ansie”].
IL TEATRO
Per poter esistere nel tempo e nello spazio il Coro necessita di un luogo di riflessione del proprio canto, di un ambiente di contorno che vada al di là della morte dell’Attore, di un luogo che perpetui l’ombra dell’Attore.
Il teatro è il riflesso spaziale del coro, è l’atto di appropriazione dell’ambiente naturale funzione e necessità del coro. Pietra su pietra, legno su legno, mattone su mattone il teatro si delinea nel tempo; il tempo della storia.
Nel teatro le ombre si specchiano nel canto della specie.
Il teatro è il luogo dove si compie il cerimoniale della specie, è il luogo della nascita e della morte, dove si celebra il cerimoniale della vita.
Il teatro si configura secondo il complesso dei bisogni del Coro il suo riferimento è al contempo il semplice e il complesso, l’immediato e il differito.
Il teatro si può misurare [Per misurazione si intende un valore in cui quello metrico è solo un aspetto secondario dove i concetti di piccolo, medio e grande , ad esempio, possono essere diversi e contraddittori tra la misurazione metrica e quella architettonica].
La sua prima dimensione è lo spazio fisico, il suo significato “naturale”. Lo spazio fisico è il luogo del rapporto con il sistema gravitazionale, con il pianeta Terra. Il teatro si uniforma alle sue leggi, ineluttabilmente, come il sole, la pioggia e il vento.
La seconda dimensione è il tempo, la dimensione temporale, l’evolversi nel tempo e nella storia. Non c’è nulla che non sia diverso in ogni istante e in ogni tempo. La dimensione temporale è la coscienza evolutiva del fare.
La terza dimensione è la cultura, la dimensione culturale; il sistema di valori sotteso agli atti dell’Attore, la dimensione direzionale del processo evolutivo.
In questo senso la misura è “conoscenza” e “coscienza”:
– è conoscenza, come atto di indagine sul vissuto su ciò che è già stato [In generale assumiamo per “conoscenza” una procedura che renda possibile la descrizione, il calcolo e la previsione controllabile di un oggetto.
La “procedura” è a nostro avviso il problema di una “teoria dell’architettura” come base necessaria attraverso la quale poter descrivere, calcolare o prevedere l’oggetto architettonico nella sua esistenza “reale”.
Il “calcolo” è il “progetto” , il complesso di azioni che vengono effettuate per determinare la possibilità di esistenza dell’oggetto architettonico.
La “previsione” è l’atto che valuta la possibilità di esistenza di un architettura nel suo “valore d’uso” (il valore simbolico è una forma particolare di valore d’uso)];
– è coscienza come atto consapevole del fare, reale e immediato [(Coscienza come “coscienza in generale” nel senso di Husserliano di “Erlebnis” , come esperienza vissuta.)
La “coscienza” è la sintesi del passato, presente e futuro.
Il passato è il già vissuto.
Il presente è la nostra vita.
Il futuro è la speranza, la motivazione delle nostre azioni.
Il reale è il presente, il fare nel presente che ha in sé sia il passato che il futuro].
I BURATTINI
L’Attore primordiale è lontano nel tempo, non è più Attore per la sopravvivenza diretta di sé e della specie ma è Attore per la sopravvivenza del “coro”. I suoi atti sono condizionati, sono legati dal filo del comportamento collettivo.
L’Attore si comporta come un burattino.
I suoi movimenti non sono più i balzi repentini e incontrollati della sopravvivenza: sono movimenti lenti e direzionati, sono una danza collettiva.
Nel vivere il Teatro il Burattino deve rispettare una struttura prefissata, le regole del gioco. Ogni sua azione è, nel movimento, condizionata: deve obbedire alle leggi del coro [Per vivere l’uomo deve rispettare il suo progetto di sopravvivenza, le regole scritte nel suo DNA. In questo progetto, però, sono scritte non solo le informazioni necessarie alla sua sopravvivenza ma anche quelle della sopravvivenza della specie].
C’è un luogo per dormire, per mangiare. C’è un luogo per la cerimonia, un luogo per amare. Ogni comportamento è strutturato, segue le regole del coro. Anche il dissenso è strutturato: il diverso ha le sue regole, i suoi modelli, vive lo stesso teatro in un’illusione di diversità è un personaggio dello spettacolo.