Adorno, Benjamin e lo specchio riflettore di Kierkegaard

In un passaggio cruciale del saggio giovanile per l’abilitazione dedicato al concetto polimorfo di estetico in Kierkegaard, Adorno sostiene che l’aspetto decisivo della filosofia del danese è l’interiorità: «al centro delle costruzioni filosofiche del giovane Kierkegaard compaiono immagini di interni di abitazione […] il motivo principale della riflessione appartiene all’intérieur. Il seduttore comincia così una sua annotazione: “Volete finirla una buona volta? Che avete combinato tutta la mattinata? Avete tirato la mia tenda, avete smosso il mio specchio riflettore, avete giocato con la corda del campanello del terzo piano, bussato ai vetri delle finestre, insomma vi siete fatti notare con ogni genere di schiamazzi”» (trad. it. di A. Burger Cori, Milano 1983, pp. 112-113).

Di tutti gli oggetti nominati, la tenda, la corda del campanello, i vetri delle finestre, quello che risveglia ciò che Benjamin avrebbe chiamato il sex appeal dell’inorganico di Adorno è lo specchio riflettore. E lo fa a tal punto da convincerlo ad aggiungere una spiegazione wiki style dell’uso della particolare superficie riflettente: «Lo specchio riflettore è un caratteristico arredamento delle spaziose abitazioni d’affitto dell’ottocento […] La sua funzione è di proiettare nell’interno circoscritto di un appartamento borghese la strada». Ma quello che aggiunge è ancora più interessante: «All’epoca della filosofia di Kierkegaard, gli specchi riflettori venivano chiamati generalmente “spioni”; e così Kierkegaard chiama se stesso nel suo ultimo resoconto: “che io infatti sono per così dire uno spione al servizio di qualcosa di più alto, al servizio dell’idea, e come tale ho il compito di guardarmi intorno, nel campo dell’intellettualità e della religiosità e di spiare come l’ ‘esistere’ si accordi col conoscere e la ‘cristianità’ col cristianesimo”». Insomma, quando Adorno dice di aver trovato il segreto della filosofia di Kierkegaard, ovvero l’interiorità, porta il nostro sguardo dall’interiorità dei luoghi, l’appartamento con lo specchio riflettore, all’interiorità psicologica del filosofo danese che confessa che il suo lavoro filosofico consiste nello spiare, nel guardarsi intorno, nel vedere come esistenza e conoscenza siano tutt’uno.
Questo, tanto per dire che non servono rapporti di lavoro certificati tra filosofi ed agenzie di investigazione, basta anche solo seguire dettagli trascurabili, come quello dello specchio, per notare come certi pensatori indulgano, non solo metaforicamente, a seguire una strategia di intelligence per le loro scorribande teoretiche. È questo che fa Adorno quando ci rimanda dallo specchio alla confessione di Kierkegaard. Un oggetto così comune negli appartamenti d’affitto borghesi dell’ottocento come uno specchio riflettore poteva anche non portare a pensare ad un uso spionistico di quell’artefatto. Ma Adorno non si lascia sviare dall’uso comune probabile di esso, che poteva essere quello di guardare fuori dalla propria stanza per le persone inferme; Adorno punta dritto all’uso che se ne può fare per carpire segretamente o comunque discretamente, informazioni. E non si ferma lì, come avrebbe potuto. La sua curiosità, ma si potrebbe anche definire modernizzandola whistleblowing, lo spinge a trovare il passo dell’autodefinizione-confessione di Kierkegaard come spione. Come tale, il danese si assegna il compito del guardarsi intorno. Non credo che lo si debba interpretare come un guardarsi intorno circospetto, un guardarsi attorno con sospetto, ma piuttosto come un disporsi e un aprirsi. Del resto la conferma viene dalla direzione dello sguardo, da ciò verso cui lo sguardo punta e cioè i campi dell’intellettualità e della religiosità, che sono, detto impropriamente, casa sua, il suo mondo, l’esteriorità che si riflette nella sua interiorità. Ebbene in questo esterno, fatto di spirito oggettivo hegeliano e di teologia del quotidiano, il compito che si ritaglia è quello «di spiare come l’ ‘esistere’ si accordi col conoscere e la ‘cristianità’ col cristianesimo». L’attività principale di Kierkegaard è lo spionaggio intellettuale. L’oggetto della sua attività è cogliere l’essenza della vita come conoscenza. Quando si vive la vita sotto l’impronta dell’intelletto si compie un atto di devozione, si compie un atto di fede. Ecco perché scrive religiosità e non religione. Religiosità è la cura che si presta alle cose, l’attenzione e la concentrazione che sono esatte da un operare scrupoloso. La devozione intellettuale è il primo impegno di una filosofia guardinga, attenta, capace di fiutare i sottili fili di connessione tra esistenza e conoscenza, tra conoscenza e religiosità e tra ‘cristianità’ e cristianesimo, cioè tra il modo autentico di vivere la fede e quello ufficiale, precettistico, del cristianesimo.

Non si lasciò sfuggire l’annotazione di Adorno, Walter Benjamin che trascrisse la citazione nel capitolo intitolato Specchi dei Passages (Opere complete IX, trad. it. di G. Russo, Torino 2000, p. 606). In quel breve capitolo lo scrittore prima sostiene che gli specchi numerosi che si trovano nei passages parigini conferiscono loro un aspetto di ambiguità che «ampia fiabescamente gli spazi e rende più difficile l’orientamento» (p. 605, che non potevano così permettere altro che una percezione distratta, aggiungerei), poi prosegue con il consueto caleidoscopio di accostamenti sorprendenti in cui compaiono, tanto per dire, Kaspar Hauser e Odilon Redon, e lo scambio fra essere e nulla che avviene nello specchio. Ovvero l’essere esistente diventa nulla, cioè solo un’immagine inappropriabile, quando viene riflesso nello specchio, il quale è invece come se prendesse corpo dal nulla dell’immagine. 

Tante volte più accorto e sensibile, ma verrebbe da dire sensitivo, di Adorno, in questa occasione Benjamin, il Benjamin con la bacchetta da rabdomante, si fa sfuggire l’accostamento del musicologo tra lo specchio riflettente e il sedicente spione Kierkegaard. La citazione benjaminiana del passo da Adorno si interrompe infatti prima del richiamo al danese che sta solo tre righe più sotto. La cosa stupisce non poco, sia perché uno specchio compare nella prima Tesi sulla filosofia della storia (“un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti”), sia perché situazioni spionistiche e riflessioni sul sotto mondo di flâneurs, spie, prostitute, cospiratori e provocatori nei Passages si trovano con discreta frequenza. Lo dico perché a metterle in luce è stato Benjamin stesso, riferendole spesso a Baudelaire. Espongo solo un campione del materiale che il libro mette a disposizione, senza trarlo dal capitolo più ghiotto in proposito, e cioè Cospirazioni, compagnonnage, che riporta per lo più citazioni da altri autori sullo stesso tema, come è consueto nel metodo di lavoro di raccolta del materiale del berlinese.

Cominciamo con un Engels inseguito per settimane da spie (p. 568) delle quali si fa beffe, portandole la sera nei balli della città. Si passa poi a un aforisma intitolato “Sulla metafisica dell’agent provocateur”  (p. 419) in cui viene riportata una citazione di Jean Prevôst che sostiene che senza pregiudizi si possa dire che Baudelaire fosse almeno in parte un agente provocatore. Seguono delle vere e proprie annotazioni di intelligence economica come la seguente: «In provincia il gioco di borsa dipendeva dalle informazioni che si ottenevano da Parigi sui movimenti dei titoli più importanti, – che erano trasmesse – per mezzo di segnali da mulino a mulino» (p. 565). Ed infine una degna sintesi del microcosmo dei passages nel seguente: «Il cospiratore di professione e il dandy si congiungono nel concetto dell’eroe moderno. Quest’eroe rappresenta per se stesso nella sua persona un’intera società segreta» (p. 421)

Ma il nucleo più consistente, come dicevo, riguarda Baudelaire, un poeta che di volta in volta è presentato come mouchard: «Esiste probabilmente un nesso tra la cattiva accoglienza riservata a Baudelaire in Belgio, la sua fama di essere un mouchard e la lettera al Figaro sul banchetto di Victor Hugo» (p. 317); come traditore: «Baudelaire si presenta come figura comica: come il gallo il cui canto stridulo annuncia trionfante l’ora del tradimento» (p. 417); come attore: «Sulla fisionomia di Baudelaire come fisionomia dell’attore: Courbet racconta che aveva ogni giorno un aspetto diverso» (p. 360). E infine anche come straccivendolo: «Lo chiffonier è la figura più provocatoria della miseria umana […] Baudelaire si riconosce nello straccivendolo» (p. 383). Un testo dei Fiori del male è dedicato al vino degli straccivendoli. Neanche questo sfugge a Benjamin, ed anche qui troviamo spioni: «Sul Vin des chiffoniers: l’allusione ai mouchards indica che lo chiffonier sogna di venire dalle barricate» (p. 412). C’è un passo successivo dove Benjamin ritaglia una citazione che precisa che l’organizzatore della Carboneria francese nel 1821 era un «commis voyager en vins» (p. 678).

Quel mondo di dentro che contiene paradossalmente il mondo di fuori, che è quello dei passages, non poteva non contenere come una monade tutta la realtà. Ecco allora che i  «passages sono i luoghi delle agenzie di informazioni e degli istituti di investigazione» (p. 213), i luoghi del passaggio distratto dei flâneurs e del transito agguerrito dei cospiratori, i sottoproletari al soldo di qualsiasi offerta di lavoro, sporco o segreto che sia. Qui Benjamin è debitore di alcune lettere e di certe pagine del 18 brumaio di Marx nelle quali quest’ultimo fornisce un esempio illuminante del sottobosco proletario vinto dalla delazione e attratto dallo spionaggio. Sono le uniche offerte di lavoro che provengono loro. Accettano per soldi e non si fanno troppi scrupoli di tradire la loro classe sociale, come nell’esempio del fallimento del movimento di Cabet a causa di una spia (pp. 674-675). 

Non erano gli unici a tradire la propria classe. Lo fa anche Baudelaire: «Baudelaire è senz’altro a casa sua nell’accampamento nemico … Baudelaire era un agente segreto: un agente della segreta insoddisfazione della sua classe nei confronti del proprio stesso dominio» (Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell’età del capitalismo avanzato, trad. it. di G. Gurisatti, Vicenza 2012, p. 721). Ma di che tipo di tradimento si tratta, di quale tradimento si macchia il poeta? Troviamo presto la risposta: «Il marchio veramente decisivo del tradimento della propria classe è dato in Baudelaire non dall’integrità che gli vietò di richiedere una sovvenzione governativa, ma dalla sua incompatibilità con gli usi del giornalismo» (Passages, p. 357). Non si sa se il tradimento della propria classe sociale era solo potenziale o se invece è stato consumato, anche perché altrimenti non si capirebbe l’uso di quella che sembra una formula assolutoria finale: «Baudelaire ebbe la fortuna di essere contemporaneo di una borghesia che non poteva ancora usare come complice del suo dominio un tipo tanto asociale come quello da lui rappresentato. L’incorporazione del nichilismo nel proprio apparato di dominio era riservato alla borghesia del XX secolo» (p. 429). 

 Per verificare la tesi di Adorno sullo specchio riflettore come «caratteristico arredamento delle spaziose abitazioni d’affitto dell’ottocento», e rimanendo in ambito francese, utili testimonianze vengono dal tenente colonnello Xavier de Maistre, in negativo, e da Marcel Proust. Con questi due scrittori occupiamo tutto lo spazio del secolo, dai primi dell’Ottocento alla sua fine e oltre. Nel famoso Viaggio intorno alla mia camera, datato Torino 1794, il XXVII capitolo è dedicato allo specchio, che quando riflette gli oggetti “dice continuamente la verità” mentre quando è lo specchio dell’anima è il “prisma dell’amor proprio” (p. 94) e pertanto la deforma continuamente perché la bruttezza o la bassezza morale non riconoscono mai se stesse. In tal caso lo specchio si romperebbe. È chiaro che la camera del viaggiatore immobile Xavier de Maistre non è dotata di uno specchio riflettore.
In uno dei periodi più lunghi (2884 caratteri, 473 parole, noto alla critica come suite des chambres) della Recherche, invece, fa la sua comparsa uno specchio riflettore. È la frase che ha fatto andare su tutte le furie uno dei suoi primi critici, quel Jacques Normand, consulente editoriale di Fasquelle, che lo bollò come folle, desolante e insondabile: «dopo settecentododici pagine di questo manoscritto […] non si ha nessuna, nessuna idea di quello di cui si tratta». Siamo agli inizi del primo volume, il narratore afferma di ricordare tutte le stanze in cui ha dormito e ne elenca quattro diversi tipi, tre in modo generico (invernali, estive e quelle Luigi XVI) e una più precisamente e singolarmente descritta e localizzata: quella piccola e col soffitto alto. È in quest’ultima che si trova lo specchio riflettore: «dove uno strano e spietato specchio quadrangolare a bilico, sbarrando di sbieco uno degli angoli della stanza, si apriva a forza nella dolce pienezza del mio ordinario campo visuale un posto che non vi era preveduto; – dove il mio pensiero, sforzandosi per ore e ore di estendersi, di innalzarsi per prendere l’esatta forma della stanza e giungere a riempire fino all’alto il suo imbuto gigantesco, aveva sofferto molte altre notti penose, mentre me ne stavo disteso nel letto, con gli occhi alzati, l’orecchio ansioso, la narice restia, il cuore che batteva: fino a quando l’abitudine non avesse mutato il colore delle tende, fatto tacere la pendola, insegnato la pietà allo specchio obliquo e crudele, dissimulato, se non messo in fuga interamente, l’odore della gramigna indiana, e diminuito in modo notevole l’apparente altezza del soffitto» (pp. 9-10). La stanza del savoiardo è una monade chiusa, una delle stanze di Proust contiene invece l’oggetto cercato, lo specchio crudele.
Da come ci sono stati descritti, da se stessi e dagli altri, i protagonisti risultano essere passibili dei seguenti livelli di classificazione: Baudelaire agente segreto dell’insoddisfazione di classe, Kierkegaard spione dell’umanità, Adorno delatore di Kierkegaard, e Benjamin come colui che confessa tranquillamente che a casa sua, nei passages, si confondono flâneur dall’attenzione intermittente, dandy oziosi, eleganti cospiratori, straccivendoli da barricata, metafisici agenti provocatori e spioni speculativi.



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