Riscoprire gli archivi privati: intervista al direttore di Home Movies

Ogni autunno, a Bologna, si tiene Archivio Aperto, il festival organizzato dall’Archivio Nazionale del Film di Famiglia – Home Movies. La tredicesima edizione si è tenuta online, una modalità obbligata che, pur priva di incontri dal vivo, ha consentito a un pubblico più vasto di accedere a un programma che ha affiancato allo streaming dei film su Facebook e MyMovies una serie di visite guidate all’Archivio. Le sezioni interessanti di questo programma ricchissimo sono state numerose: dalle Fantastic Stories di Robert Niosi e la sua Factory newyorkese, nelle quali un gruppo di inventivi teenagers di fine anni ‘60 si divertono a fare e rifare il grande cinema di genere, a documenti del passato come le favole di Gianni Rodari, fino alla scoperta (o riscoperta) di Diary, stupendo e monumentale documentario autobiografico – un poema visivo di quasi sei ore – di David Perlov, ex proiezionista della gloriosa Cinémathèque di Langlois riconosciuto come una delle figure fondanti del cinema israeliano (un’eredità che passa dalla figlia Yael, assistente al montaggio in Shoah di Lanzmann, fino ad arrivare all’Orso d’oro 2019 Navid Lapid, che vediamo bambino a Parigi negli anni ‘70). Il tutto rigorosamente in formato ridotto, un materiale che Home Movies si premura di conservare e restaurare ormai da quasi vent’ anni. Di questo e altro abbiamo parlato con il direttore dell’archivio Paolo Simoni.

Quanto e in che modo è cambiato il programma rispetto alla formula tradizionale e quali sfide ha posto l’edizione on-line? Cosa avete perso e cosa avete guadagnato? Ad esempio avreste proiettato comunque Diary di David Perlov?

Da un lato l’edizione online chiaramente è derivata da una costrizione e dai limiti che la situazione che stiamo vivendo hanno posto, dall’altra parte e stata un’opportunità per sperimentare nuove forme di programmazione e di intercettare frange di pubblico che non avremmo potuto trovare con un’edizione fisica che conta soprattutto sul pubblico locale. Abbiamo deciso sin dalla fine dell’estate di andare online prevedendo che la situazione in autunno non sarebbe migliorata e che le restrizioni avrebbero condizionato in maniera determinante le proiezioni, quindi il programma è stato pensato in questo senso, nonostante avessimo lasciato aperta la possibilità  di proiezioni in pellicola, sonorizzazioni e incontri dal vivo che sono le caratteristiche principali di Archivio Aperto. Abbiamo quindi cercato di tradurre queste caratteristiche per l’edizione online senza rinunciarvi del tutto, anzi la sfida è stata proprio quella di adattarle alla nuova situazione. Ad esempio avremmo potuto semplicemente far sonorizzare dei materiali e metterli online invece abbiamo  filmato l’esecuzione dal vivo e in seguito l’abbiamo resa disponibile sulla piattaforma, oppure abbiamo fatto delle dirette per incontrare il pubblico. Certo ci sarebbe piaciuto presentare Diary di Perlov con proiezioni in pellicola. Però è anche vero che Diary è stato scoperto dal pubblico italiano grazie a questa iniziativa che ha avuto grande successo. Inoltre l’abbiamo proposto in una modalità diversa da quella degli altri festival dove è stato presentato. Diary infatti fu mostrato alla tv una puntata a sera e anche noi di fatto lo abbiamo trasmesso in quella modalità, aggiornando alle piattaforme online e ricreando questo aspetto di un’opera esperita come una serie tv. Un’altra scelta rivelatasi giusta è stata quella di pubblicare progressivamente la programmazione ma di mantenerla disponibile online per un lungo periodo, permettendole di crescere nel tempo. A partire dal film di Perlov infatti il pubblico ha cominciato a diffondere sui social network post e fotogrammi che hanno aiutato la visibilità di tutto il programma. Al di là di questo, con la pandemia il paradigma si sposta, segnando una presa di coscienza. Per il futuro la sfida è trovare una forma ibrida che integri le varie possibilità di programmazione e questo credo che sia chiaro a tutti.

David Perlov, Diary (1973-1983)

Come siete arrivati a Robert Niosi e alla sua Factory? Il materiale fa parte dell’archivio di Home Movies?

Sí, il materiale è giunto in archivio a più riprese. I film che sono stati programmati li ho recuperati quasi tutti io a New York incontrando Robert Niosi, ma in realtà avevamo già i materiali del nonno, siciliano emigrato negli Stati Uniti, il cui fondo era stato depositato a Home Movies e conteneva anche delle bobine del nipote, Rob. Da qui abbiamo iniziato a interrogarci su queste immagini e una volta contattato Niosi e avuto accesso al materiale lo abbiamo programmato, non solo in continuità con filoni su cui già lavoriamo come la produzione filmica di di Italian Americans e emigrati italiani nel mondo, ma anche per l’interesse di questi film girati da ragazzini in un contesto particolare come l’America di fine anni ‘60. Anche questa scelta credo che abbia pagato riscuotendo notevole interesse .

Osservando il programma ho notato che rispetto alle precedenti edizioni, in aggiunta a all’abituale vocazione documentaria, il festival ha dato ampio spazio al cinema di finzione, come i film di Robert Niosi e quelli di Mauro Mingardi. Mi sembra chiara una volontà di mostrare il cinema amatoriale non solo come “archivio” del reale ma anche come un processo creativo. 

Mi sembra un’osservazione interessante. Quando ci siamo resi conto della necessità di andare online. inizialmente ci siamo ci siamo posti la questione di come ci potessimo presentare su una piattaforma come MyMovies. La differenza rispetto agli altri anni e stata quella di allargare il programma non tanto ai film di finzione ma a film più costruiti dal punto narrativo rispetto al passato. Quest’anno credo si sia ottenuto un buon equilibrio tra le varie forme possibili. Per esempio nell’omaggio a Mingardi, che è un autore di punta di Home Movies, abbiamo privilegiato alcuni temi presenti della sua filmografia composta da pellicole di finzione. Il tutto considerando che i film di Mingardi sono molto di più che una rilettura dei generi cinematografici, il suo percorso artistico è estremamente personale. I film di Niosi sono documenti sulla New York dei ‘60 e ‘70 e su come vivevano questi ragazzini, i piani di lettura possono essere diversi. Abbiamo cercato di differenziare la programmazione anche in base ai canali, per MyMovies i film più narrativi, su Facebook gli incontri, mentre per il materiale di contorno abbiamo utilizzato il sito di Archivio Aperto.

Robert Niosi, Experiment 2001: a failure

Una delle sezioni del programma si chiama recycled cinema, come valuti l’ingresso dei filmati d’archivio nei circuiti del cinema più tradizionale? Penso a Martin Eden di Pietro Marcello, ma anche al Varco premiato all’EFA, entrambi presentati alla Mostra di Venezia e poi usciti in sala. Credi che in questo momento ci sia maggiore attenzione da parte del pubblico nei confronti degli archivi?

Recycled cinema è una sezione dedicata al cinema sperimentale e quindi a film che non circolano nei circuiti ufficiali. Certamente il discorso sull’uso delle immagini d’archivio nei film che vengono distribuiti è complesso. Un film come Il Varco, prodotto con Home Movies, ha una vocazione più autoriale ed è frutto di una produzione piccola, indipendente, che però mira a trovare un pubblico più esteso. Mentre un’operazione come Martin Eden, che secondo me è molto ben riuscita, fin dai suoi presupposti ha tutte le caratteristiche per raggiungere un ampio pubblico. Il film è stato distribuito in centinaia di sale, è stato girato da un autore emergente e conta su un attore protagonista di successo. Sicuramente questi due esempi segnano una particolare attenzione alle immagini d’archivio ma ovviamente il mainstream arriva sempre con un certo ritardo. Noi sappiamo che lavori come questi non sono certo una novità, ma fino a oggi sono rimasti confinati in ambiti molto ristretti e non rientravano nella distribuzione commerciale. Oggi il panorama della distribuzione è mutato completamente, non c’è neppure bisogno di dirlo: esistono circuiti più ufficiali di altri, esistono le piattaforme, sulla distribuzione e fruizione nelle sale vedremo cosa ci riserba il futuro. Oggi più che mai sono convinto che vadano trovate continuamente nuove forme di programmazione. Hai avuto l’occasione di vedere il film che abbiamo presentato ieri in streaming ? (La città rossa, prodotto da Home Movies, consiste nell’edizione di un film amatoriale del 1952 su una mostra del PCI a Bologna sonorizzate da Guglielmo Pagnozzi, ndr).

Si, le prime immagini che mi vengono in mente sono quelle della salma di Gramsci, che non avevo mai visto e che mi hanno impressionato.

Questo me l’hanno detto in molti, non pensavo fosse un’immagine così poco nota. A pensarci bene, esposta a quel modo è un’icona che ha lo stesso valore di quella della mummia di Lenin.

A proposito de La Città Rossa quali sono gli i progetti futuri di Home Movies?

Avevamo pensato alla piattaforma Memoryscapes prima del lockdown  e il lancio in questo contesto ha assunto una rilevanza maggiore. È un progetto che prevede sia la fruizione digitale di parte dell’Archivio da parte di specialisti e studiosi sia da un pubblico più generalista e che secondo noi aiuta all’esplorazione dell’archivio. Anche La Città Rossa rientra nell’idea di mostrare l’archivio con una cifra curatoriale ben precisa.

Certo, le immagini montate con un dato criterio, la voce e la sonorizzazione ne fanno un vero e proprio film.

La sonorizzazione è stato un lavoro molto preciso e meditato del quale sono molto contento e che dà al film enormi potenzialità. Come nella maggior parte dei film del nostro archivio e del cinema amatoriale o sperimentale c’è bisogno di un contesto e di un intervento curatoriale che renda attuali queste immagini ed è quello che ci stiamo proponendo di fare.



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