Franco Cassano, sociologo meridionale da poco scomparso, ha segnato una parabola intellettuale che ha alle spalle un percorso significativo, attraverso il quale, egli, incrociando sguardi e orizzonti epistemologici, simbolici, sociali e politici, ha delineato uno stile di pensiero che ha avuto riflessi importanti anche sull’opinione pubblica e sulle modalità attraverso cui pensare la realtà meridionale e il senso della modernità.
Affermato docente all’Università di Bari, intellettuale di sinistra, editorialista e saggista, e in anni recenti anche parlamentare, egli viene oggi ricordato diffusamente per le sue tesi e le sue argomentazioni attorno al pensiero meridiano, ma questa posizione teorica discende da un passato più lontano, da studi che è opportuno non dimenticare se si desidera avviare una conoscenza adeguata del suo lascito.
Il sociologo barese, nella sua formazione di giovane ricercatore nei primi anni Settanta, nella stagione della École barisienne accanto, tra gli altri, a Giuseppe Vacca e Biagio De Giovanni (per un agile panorama sui protagonisti della Scuola di Bari si può rimandare a Blasi, F., Introduzione alla École barisienne, Laterza-edizioni della libreria, Bari, 2007), si era confrontato con il pensiero marxista e con quello weberiano; ma un primo punto d’origine che si può individuare alla base del suo successivo pensiero meridiano è quello dei suoi studi epistemologici e di sociologia della conoscenza confluiti ne La certezza infondata. Previsione ed eventi nelle scienze sociali (Dedalo, Bari, 1983), testo in cui indagando la formazione delle teorie sociali, Cassano mostra quanto sia difficile e in una certa misura illusorio cercare di comprendere i fenomeni sociali attraverso semplici etichette teoriche e pone in evidenza quanto le stesse teorie che vogliono spiegare i fenomeni si muovano in particolari orizzonti che conferiscono loro significato. Nell’ambito delle scienze sociali, secondo il sociologo barese, non è possibile distinguere una volta per tutte tra scienza (intesa come conoscenza corretta) e ideologia (intesa come conoscenza falsa o distorta): le teorie delle scienze sociali si configurerebbero come “universi simbolici” (termine tipico dei sociologi della conoscenza Peter Berger e Thomas Luckmann, nel loro classico La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969, per anni appunto testo base dei programmi dei corsi di Sociologia della conoscenza impartiti da Cassano all’università) che tutelano la propria esistenza attraverso la capacità di dare spiegazioni ad eventi che ne possono mettere in crisi le basi concettuali.
Tali osservazioni sui meccanismi teorici, spesso sottili e ambigui, che influenzano la logica delle scienze sociali, assumono valore anche al di là del loro ambito accademico o specialistico, perché permettono a Cassano di sviluppare una capacità e una sensibilità ermeneutica rispetto alle vicende sociali, attraverso cui egli può scorgere e descrivere elementi non sempre evidenti. Questa sensibilità si manifesta molto nettamente in un altro studio di Cassano che in questo contesto non può essere trascurato, ossia Approssimazione. Esercizi di esperienza dell’altro (Il Mulino, Bologna, 1989), poiché si può considerare come un esperimento di lettura fenomenologica che l’autore fa sulla realtà a tutto tondo che lo circonda. La fenomenologia in sociologia è un indirizzo teorico con cui esplorare e descrivere ciò che appare alla nostra sensibilità e coscienza. E Cassano con questa prospettiva guarda gli uomini, la concezione dell’età, la differenza sessuale, il modo di percepire la vita delle forme animali, invitando a vedere le cose in modo più articolato e poliedrico, insegnando a porsi nei panni dell’altro e a uscire dalla infinita chiusura e ripetizione del sé.
L’esplorazione fenomenologica, praticata dall’intellettuale pugliese, diventa successivamente una metodologia sistematica attraverso cui mostrare l’ambivalenza della realtà e la doppiezza degli eventi e l’ingenuità di chi crede esista nei fenomeni morali, sociali e politici una ricetta facile e risolutiva: il rifermento è qui il testo che in nuce racchiude i semi del pensiero meridiano, ossia Partita doppia. Appunti per una felicità terrestre (Il Mulino, Bologna, 1993), la cui cifra è l’attenzione per il senso della misura, del limite, per la capacità di relazionarsi al tempo a alla vita.
Considerati tutti questi presupposti, quando a metà degli anni Novanta del secolo scorso, viene pubblicato Il pensiero meridiano (Laterza, Roma- Bari, 1996), tale contributo appare dunque il punto di approdo in chiave politica di una precisa prospettiva sociologica; e così, questo libro, discutendo figure ed elementi non lineari e non univoci (come Ulisse, Pasolini, la frontiera, il mare Mediterraneo), e valutando le gradazioni di chiusura e apertura di tradizioni filosofiche contemporanee come quelle rispettivamente di Martin Heidegger e Friedrich Nietzsche, induce a riflettere su valori che la modernità più estrema, più distorta, ha abbandonato, ma che hanno in sé qualcosa di moderno, come appunto la misura e la capacità dell’uomo di trovare un equilibrio: si trattava di una lettura più articolata del moderno e della vicenda dell’Occidente, una interpretazione, chiaramente anche profondamente politica, che poneva in discussione gli integralismi e l’Homo currens. Sebbene a volte sia stato anche interpretato come anti-moderno e destato critiche, invero, Il pensiero meridiano, negli anni tradotto in più lingue e il cui pubblico si estendeva anche al di là di ambiti universitari, cercava, nell’intenzione del suo autore, di ricostruire un rapporto più sereno con la modernità senza negarla in toto, come precisato nella successiva raccolta di saggi Modernizzare stanca (Il Mulino, Bologna, 2001). In quest’ottica, il Sud, il Mezzogiorno, poteva ritrovare e difendere una autonomia e dignità, e la ricaduta politica concreta del pensiero meridiano è stata forse più evidentemente individuabile, agli occhi di non pochi osservatori, nella stagione della “primavera pugliese” che, oltre un decennio fa, vide particolarmente protagonisti Michele Emiliano e Nichi Vendola.
Alla luce di questi sintetici richiami ad alcuni testi e contesti, se si cercasse il senso di una eredità sociologica e politica di Cassano, esso si potrebbe forse individuare nell’idea(che si ritrova in un altro suo apprezzato libro successivo, L’umiltà del male, Laterza, Roma-Bari, 2011) della necessità di comprendere sempre le istanze che agitano la società contemporanea, sfuggendo quell’atteggiamento di “narcisismo etico”, e invitando gli studiosi a uscire dalle proprie torri d’avorio e a non rinunciare al rapporto con la gente comune, che è più esposta a tentazioni e superficialità, evitando così di specchiarsi nelle propria perfezione e mostrando più comprensione per la debolezza degli altri. Possiamo ritenere che siamo qui di fronte a una sociologia, intesa non solo come disciplina scientifica, ma anche come discorso di riflessione sul senso e pungolo della coscienza, una sociologia, proprio per questo, dalle ascendenze cospicue che spaziano da Karl Marx e Max Weber alla filosofia della scienza di Karl Popper e Paul Feyerabend, dalla Scuola di Francoforte ai post strutturalisti, da Emmanuel Lévinas e Hans-Georg Gadamer sino alla letteratura di Fëdor Dostoevskij e Albert Camus e altri ancora.
L’opera e l’insegnamento di Cassano, vividi e intelligenti, essenziali e profondi, consegnano, ai tanti studenti e allievi come agli occasionali lettori, un valore intellettuale e culturale, civico e politico, sulla scia di uno stile mite e aperto, lontano da quei modi appariscenti, sbruffoni e chiassosi che, aggravati dai social network, sembrano segnare molti comportamenti pubblici e privati contemporanei.