Povertà: un problema di governance

Come funziona oggi il welfare negli Stati Uniti e come influisce sulla vita delle persone? Come è cambiata la situazione negli ultimi quarant’anni? Quanto conta la questione razziale all’interno di questo sistema?
Attraverso un’attenta analisi della sua evoluzione storica, Joe Soss, Richard C. Fording, Sanford F. Schram osservano in
Disciplinare i poveri. Paternalismo neoliberale e dimensione razziale nel governo della povertà (a cura di Sandro Busso ed Eugenio Graziano, 582 pag., 32 €, Mimesis Edizioni, 2022) le origini, le forme e le conseguenze di una nuova modalità di governance della povertà che è allo stesso tempo neoliberale – allineata ai principi del mercato – e paternalista – fondata sul dire ai poveri ciò che è meglio per loro. Su Scenari pubblichiamo un estratto dall’introduzione del libro.

La povertà negli Stati Uniti è solitamente considerata un problema sociale. Nei rari casi in cui si impone all’attenzione del pubblico, disturba le coscienze di una nazione ricca sollecitando le aspirazioni “curative” dei riformatori sociali. Appassionati appelli per porre fine alla povertà fanno da cornice ai dibattiti pubblici e alimentano l’impegno di molti sostenitori e funzionari pubblici. La povertà è però qualcosa di più di una piaga da eradicare: è un problema di governance. I bisogni e i disordini che insorgono nelle comunità povere, nonché le difficoltà che questi creano alle istituzioni, devono infatti in primo luogo essere gestiti. Nella pratica, le politiche sociali vengono raramente concepite o valutate partendo dal presupposto che l’eliminazione della povertà sia un obiettivo raggiungibile. Queste mirano piuttosto a mitigare i disagi della povertà e assicurarsi che non diventino un problema dirompente per la società nel suo complesso, assicurando un sostegno che renda più gestibili le comunità povere e le mantenga in equilibrio ai margini della società. Sebbene la povertà torni periodicamente alla ribalta nella vita pubblica come problema da risolvere, nella realtà i poveri sono sempre esistiti e continuano a esistere come soggetti da gestire e governare.

La sfida centrale del governo della povertà può essere ricondotta a un apparente paradosso. Nelle democrazie capitaliste, i poveri occupano una posizione che è al tempo stesso marginale e centrale nell’ordine sociale. Fuori, nella periferia sociale, lottano per sbarcare il lunario nei quartieri isolati delle città e nelle aree rurali, in condizioni di cui i loro concittadini hanno notizia solo attraverso quotidiani e mezzi di comunicazione. Essi partecipano solo marginalmente, attraverso rapporti precari, alle routine e ai benefici che cementano l’ordine sociale. Al contempo, il contributo di coloro che vivono e lavorano in condizioni di povertà è essenziale per il regolare funzionamento delle istituzioni della società. Gli oneri di cui si fanno carico sono indispensabili a garantire le aspettative della maggior parte dei residenti nei paesi sviluppati in termini di qualità della vita (Gans 1972).

Lo scopo fondamentale del governo della povertà non è quindi quello di eliminarla, bensì di assicurarsi, in modi politicamente sostenibili, la cooperazione e il contributo di una parte della popolazione debolmente integrata.
Per far fronte a questa sfida, i governi impiegano una varietà di strumenti amministrativi e di policy: distribuiscono sussidi per mitigare le sofferenze e placare le rivendicazioni politiche più radicali; circoscrivono gli aiuti al fine di incoraggiare i poveri ad accettare il lavoro; creano incentivi e servizi per instradarli verso i comportamenti desiderati, e al contempo li controllano e imprigionano quando violano la legge. Da una parte si progettano politiche finalizzate a insegnare le norme sociali, dall’altra si utilizzano sistemi di sorveglianza e sanzione per mantenere i beneficiari degli aiuti sui binari designati. Attraverso questi e altri metodi, i governi lavorano incessantemente per gestire quanti vivono con redditi bassi e trasformarli in soggetti collaborativi nei confronti del mercato e della politica.
Sebbene il governo della povertà sia, da questo punto di vista, un’attività che non conosce interruzione, i suoi obiettivi e interventi cambiano nel corso del tempo. Le sue istituzioni tengono il passo della vita politica e si adattano lentamente ai cambiamenti nell’organizzazione del potere, a volte mutando con decisione per accogliere nuove istanze, interessi e ideologie che si impongono come vincenti.
A livello globale, gli sforzi per governare i poveri assumono forme diverse, dal momento che le autorità pubbliche devono orientarsi tra dinamiche politiche, economiche e culturali che variano secondo il contesto. La collaborazione dei poveri con il sistema è qualcosa che non può essere mai dato per scontato, in quanto non esiste una configurazione che funzioni senza soluzione di continuità tra diverse ideologie e istituzioni. Al contrario, le strategie di governo della povertà sono sempre instabili, e non è detto che ciò che funziona oggi funzioni domani. Le pratiche introdotte dalle autorità pubbliche sono sempre contingenti, e si evolvono in relazione alle contraddizioni interne delle politiche esistenti, adattandosi attraverso nuove strategie alle mutevoli pressioni politiche e agli sviluppi istituzionali.

Negli ultimi decenni, il governo della povertà negli Stati Uniti è stato trasformato dalla convergenza di due movimenti di riforma. Il primo, spesso definito “paternalista”, ha promosso un approccio ha promosso un approccio caratterizzato da un maggior dirigismo e da una stretta sorveglianza (Mead 1997b). Facendo appello a un’immagine disfunzionale e disordinata delle comunità impoverite, i paternalisti hanno sostenuto che fosse un dovere dello Stato “dire ai poveri cosa fare” (Mead 1998). In quest’ottica, i programmi di welfare sono stati riformulati puntando tutto sulle aspettative relative ai comportamenti e sul controllo, attraverso incentivi alle condotte corrette e sanzioni in caso di inosservanza. Prestazioni assistenziali di vario tipo, dagli aiuti alimentari all’assistenza abitativa, sono stati così subordinati alla buona condotta. Nuove durissime politiche di giustizia civile e penale sono diventate strumento di repressione dei comportamenti illeciti, dando inizio a un’era senza precedenti di incarcerazione di massa (Western 2006; Wacquant 2009).
La svolta verso il paternalismo si è intrecciata con l’ascesa del neoliberismo come principio di governance. Negli anni ‘70 e ‘80, i sostenitori del neoliberismo hanno inizialmente adottato una politica di laissez-faire, cercando di indebolire i vincoli che le normative statali e il welfare imponevano al mercato (Harvey 2005). Con il tempo, tuttavia, i riformatori hanno adottato un’agenda molto più ambiziosa (Peck e Tickell 2002), cosicché oggi il neoliberismo comprende un’ampia gamma di interventi volti a organizzare la società secondo i principi della razionalità di mercato (W. Brown 2003).
Rinunciando alla minimizzazione del ruolo dello Stato, i sostenitori del neoliberismo hanno piuttosto lavorato per riorganizzarlo e sfruttarne al meglio le potenzialità, ridisegnando le funzioni statali intorno ai principi del mercato e puntando a vincolare maggiormente le scelte dei funzionari statali alle necessità degli attori del mercato. Essi hanno abbracciato lo Stato come strumento per creare opportunità di mercato, assorbendo i costi del mercato e accettandone le regole (W. Brown 2006). Funzioni centrali dello Stato, dalla guerra al welfare, dalla gestione ambientale al sistema carcerario, sono state appaltate ad agenzie private. Da una parte l’autorità politica è stata decentrata e frammentata, dall’altra le politiche pubbliche sono state ripensate mettendo al centro concorrenza e produttività.
La convergenza di questi due flussi segna un momento significativo nello sviluppo politico americano: l’emergere di una modalità di governo della povertà che è al contempo più incisiva nella sua applicazione normativa, e più ramificata e diversificata nella sua organizzazione.
Il governo della povertà oggi è infatti perseguito attraverso una rete diffusa di attori posizionati in relazioni similari a quelle di mercato e incaricati di portare la disciplina nella vita dei poveri.

Joe Soss, Richard D. Fording, Sanford F. Schram, Disciplinare i poveri (a cura di Sandro Busso ed Eugenio Graziano, 582 pag., 32 €, Mimesis Edizioni)

Il nostro libro è il prodotto di un lungo lavoro finalizzato a dare un senso a questa trasformazione. Coniugando l’analisi storica e teorica con diverse fonti e dati, abbiamo cercato di chiarire le origini, il funzionamento e le conseguenze del paternalismo neoliberale come modalità di governo della povertà. Le caratteristiche principali del nostro studio rientrano in tre macrocategorie. In primo luogo, Disciplinare i poveri rappresenta uno sforzo di teorizzazione mirato a situare il presente all’interno di un più lungo percorso storico caratterizzato da continui tentativi di regolare e riformare le popolazioni a basso reddito. Il sistema contemporaneo è una miscela di vecchie pratiche e nuove razionalità politiche, perciò per comprenderlo è necessario individuare gli elementi di continuità storica e mutamento che definiscono il suo progetto disciplinare.
In secondo luogo, a differenza della maggior parte delle ricerche sulla “politica delle politiche”, il presente studio non adotta il punto di vista di una singola istituzione e non concentra lo sguardo su una sola fase del processo di policy. Il tentativo è piuttosto quello di delineare più livelli di governance in un quadro comune di analisi. Partendo dai cambiamenti storici a livello nazionale, seguiamo il percorso di governance attraverso un sistema decentralizzato e tracciamo il suo disomogeneo sviluppo attraverso scelte di policy a livello statale. Esploriamo le differenze che emergono man mano che i progetti di policy a livello statale lasciano il posto alle strategie locali di attuazione, analizzando come il paternalismo neoliberale viene messo in pratica e studiando come le street-level organizations e il loro personale svolgono il loro lavoro nella prima linea della governance.
Infine, la ricerca tenta di chiarire il ruolo centrale che i pregiudizi razziali giocano oggi nel governo della povertà negli Stati Uniti. Il carattere razzializzato del sistema contemporaneo non rappresenta soltanto l’eredità del problematico passato degli Stati Uniti, bensì è il riflesso di quanto le costruzioni razziali operino oggi come struttura sociale che organizza la politica e i mercati, nonché come struttura mentale che organizza le scelte e l’azione della governance.
Relazioni sociali razzializzate e retoriche codificate in base alla razza hanno rappresentato una risorsa essenziale per gli attori politici che hanno guidato la svolta verso il paternalismo neoliberale. Da questo punto di vista, le costruzioni razziali hanno giocato un ruolo chiave nel plasmare le modalità di governo con cui si confrontano oggi i poveri americani. Le implicazioni della questione razziale non sono tuttavia limitate ai processi storici di ampia portata. Come vedremo, il fattore razziale rappresenta uno strumento analitico essenziale per spiegare la sistematicità con cui le modalità di gestione e i risultati variano nel sistema contemporaneo. Funzionando come “principio di visione e divisione” (Bourdieu 1990) socialmente costruito, le costruzioni razziali forniscono una potente cornice culturale e un contesto strutturale per le pratiche attuali di governo della povertà. I paragrafi che seguono sono dedicati a elaborare più articolatamente le riflessioni preliminari che pongono le basi di questo studio.


Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis Edizioni Visita anche Mimesis-Group.com // ISSN 2385-1139