Medioevo e Modernità: dialettiche essenziali oltre lo sguardo storico

Dopo la fine dell’età greca e romana, la vicenda della civiltà in senso stretto europea viene racchiusa in due grandi epoche fondamentali, il Medioevo e la Modernità, sulle quali gli storici hanno continuamente prodotto riflessioni e contributi per cui le analisi, le ricostruzioni, le ricerche e i riferimenti bibliografici in merito sono sempre cospicui e eterogenei. 

Nel mondo contemporaneo una certa attenzione dal punto vista culturale al Medioevo è evidentemente presente e, in anni più recenti, anche accompagnata, secondo le logiche mediatiche, da documentari televisivi,da divulgazioni e festival favoriti dai medievisti che hanno maggior seguito e visibilità anche fuori dai contesti accademici. La Modernità d’altra parte, oltre che come epoca storica, viene sempre più interpretata come una sorta di condizione esistenziale (emblematica la ormai celebre lettura di Berman, M., L’esperienza della modernità, Il Mulino, Bologna, 1985), divenendo anche un’idea (o ideale o ideologia) associata al Progresso e allo Sviluppo. Tuttavia, a margine di queste osservazioni di base, si deve rilevare che, diversamente dalla situazione che si ha per la Modernità –la quale, accanto all’attenzione degli storici, ha continuamente sollecitato la prospettiva della sociologia (si veda per una lettura critica Allodi, L., La modernità controversa. Analisi storico-sociologica e prospettive epistemologiche, Studium, Roma, 2000) – il Medioevo non viene generalmente considerato nell’ottica della sociologia, poiché le dimensioni sociali, politiche, economiche e intellettuali che lo attraversano non sono riconducibili all’idea di società in senso complesso che fonda epistemologicamente la sociologia.  

Posto dunque questo contesto, potrebbe risultare interessante inquadrare cosa coglierebbe lo sguardo del sociologo se volesse valutare, al di là degli aspetti puramente storici, le vicende essenziali del Medioevo, anche in virtù delle tante acquisizioni che la sociologia ha tratto dallo studio della Modernità. Forse, alla luce di questa suggestione, un discorso plausibile sarebbe riconducibile ad alcuni macro processi socio-politici che potrebbero legarsi alle evoluzioni storiche, divenendo snodi tematici essenziali in tale specifica riflessione. Il Medioevo, come ampiamente documentato, copre una fase di circa dieci secoli, attraversati da una serie continua di invasioni, conflitti e modifiche territoriali, di cui gli storici ricostruiscono e delineano i vari passaggi: ora tutti questi momenti potrebbero essere catalogati in una prospettiva che potremmo ricondurre a una sociologia della conoscenza, segnando al di là dei fatti storici particolari, alcuni nuclei interpretativi fondamentali che sono peraltro interrelati e che possono restituirci la cifra del Medioevo in un’ottica non  semplicemente storica ma sociologica. I nuclei cui facciamo riferimento sono le evoluzioni dei regni romano-barbarici, la vicenda del Sacro Romano Impero (e Sacro Impero Romano Germanico) attraverso la dialettica tra Imperatore e Papa, la lunghissima transizione dell’Impero Bizantino, l’influenza della civiltà musulmana, il ruolo giocato dai Normanni nelle duplice linea costituita dal contesto inglese e da quello nel Mediterraneo e nel Sud Italia e, infine, le dinamiche dell’Europa orientale non bizantina attraversata dalle potenze di volta in volta Slave, Bulgare, Magiare (in merito a tali tematiche, in questa sede, senza appesantire con bibliografie eccessive, si può rimandare ad alcune opere più illustrative e utilmente evocative che permettono appunto di inquadrarle, come Newark, T., I Barbari. Guerre e guerrieri dei secoli bui, Melita, La Spezia, 1991; Gli eredi dell’Impero romano, 8 voll., diretto da Mabit, F., Ferni, Ginevra, 1974; Gatto, L., Il Medioevo, Newton e Compton, Roma, 1994).

Proprio soffermandosi, anche solo indicativamente, su questi momenti, un discorso decisivo che uno sguardo sociologico può indurre riguarda le istituzioni politiche dal Medioevo alla Modernità, ovvero il fatto che, lungo tutte queste fasi storiche e parallelamente a tante congiunture, un discorso rigoroso (sostenuto dalla tradizione del sapere giuridico) sulle istituzioni politiche è sempre stato esplicitamente o implicitamente  presente, mentre, come spesso sottolineano gli studiosi, il pensiero politico, la filosofia politica, nella fase del Medioevo, risultano (o appaiono) poco strutturati e articolati rispetto alla fase della Modernità (come rimarca efficacemente ad esempio Galli, G., Il pensiero politico occidentale, Baldini&Castoldi, Milano, 2010); in effetti, si può dire che l’approccio alla dimensione politica per tutto il Medioevo è determinato solo attraverso il diritto e al limite attraverso la teologia (si veda indicativamente Ulmann, W., Il pensiero politico del Medioevo, Laterza, Bari, 1984), mentre la Modernità, affermando progressivamente la scienza e la tecnica e determinando rivoluzioni in vari ambiti, concepisce la dimensione politica in tutta la sua ampia specificità: non a caso le trattazioni dedicate alle storia delle dottrine politiche europee, in genere tendono a partire da Machiavelli e dal Rinascimento, al limite dedicando cenni preliminari più brevi alla situazione precedente durante il Medioevo. Ora, è l’intreccio di queste dimensioni di processi storici, istituzioni politiche e pensiero politico che può segnare proficuamente una riflessione sul Medioevo e la Modernità, evitando così di cadere sia in ingenua filosofia della storia sia in una mera erudizione culturale o filologica. Contestualizzando allora i momenti storici nella dimensione politica e insistendo sulla percezione di questi rapporti, diventa chiaro che se da una parte la Modernità politicamente costituisce uno sbalzo rispetto al Medioevo, perché configura tutta una serie di condizioni che trasfigurano la vicenda della civiltà occidentali (come la secolarizzazione, l’affermazione del metodo scientifico, l’affermazione del capitalismo, le evoluzioni delle comunicazioni e dei rapporti territoriali), dall’altra considerando il nodo fondamentale delle istituzioni politiche europee, sarebbe un fraintendimento ritenere che l’ascesa moderna degli Stati abbia relegato in dimensioni atavistiche o impolitiche le forme medioevali degli Imperi e delle città, poiché sia gli uni che le altre, in definitiva, possono tornare a essere valutati con maggiore attenzione a seguito dei processi di globalizzazione e della loro influenza sugli spazi politici che sempre più intensamente sperimentiamo (come osservato incisivamente da Portinaro, P.P., Il labirinto delle istituzioni nella storia europea, Bologna, Il Mulino, 2007, specialmente p. 48). Nella dialettica socio-politica Medioevo-Modernità non va dimenticato il fatto che la formazione degli Stati moderni è avvenuta tra molti contrasti entro la cornice degli Imperi, in virtù dell’autonomizzarsi di signorie territoriali. 

I medievisti spesso insistono sul fatto che riguardo al Medioevo vi siano preconcetti legati alla visione di questa epoca come un’epoca di “secoli bui”,
difendendo la sua portata culturale e significativa; i modernisti sono continuamente richiamati nei dibattiti delle scienze sociali che coinvolgono tanti concetti moderni: al di là delle giuste precisazioni e puntualizzazioni che caratterizzano gli interventi e i punti di vista di questi due gruppi di storici, e che sono sempre opportune perché i canoni della ricerca storica restano fondamentali,  l’aspetto che qui si intende mettere a fuoco è che non si tratta di stabilire una comparazione tra Medioevo e Modernità per “graduare” la loro portata agli occhi degli uomini del XXI secolo, quanto piuttosto di non trascurare la loro sottile e sottesa dialettica politica la cui corretta articolazione consente la più attenta definizione di molti problemi di sociologia delle istituzioni, anche rispetto alla civiltà contemporanea e al suo sempre controverso immaginario socio-politico. Si tratta certamente di una questione – e di un contesto di studio –  che nello scenario attuale, in cui il dettaglio asetticamente specialistico e/o quello suadentemente narrativo tendono a prevalere sulla comprensione dei nessi e delle implicazioni, diventa non sempre agevole da gestire. Tuttavia, rimarcare questa particolare linea di ricerca che trascende l’approccio esclusivamente storico, non si limita al gusto di una operazione culturale e non si adagia in una configurazione ideologico-filosofica, ma ne conserva semplicemente il valore concreto nella generale coscienza civica che, a tutti i livelli, innerva la vicenda complessa dell’Europa.


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