“Un nulla d’oro rilegato in argento”: note sull’integrale delle arie vocali da camera inedite per soprano e pianoforte di Marco Anzoletti (1867-1929)

Esce per Da Vinci Classics, con Gabriella Costa al canto e Alberto Nones al pianoforte, Marco Anzoletti (1867-1929) / Golden Nothingness / Complete Unpublished Arts Songs for Soprano and Piano, un album contenente tutte le arie vocali da camera per soprano e pianoforte, inedite, di Marco Anzoletti. Il disco, che reca nel libretto queste note unicamente in inglese e in versione leggermente diversa, è frutto di un mio lavoro di ricerca. Di Anzoletti come autore di musica vocale da camera non si sapeva praticamente nulla, ma più in generale di Anzoletti stesso la conoscenza è appannaggio di pochi. Può quindi valer la pena parlare di questo album, disponbile in CD dal 24 febbraio 2024 ma già pervenuto in digitale ad alcune tra le principali emittenti radiofoniche e riviste discografiche. È mia ferma convinzione che questa musica proverà come non si tratti di un Carneade qualsiasi (con tutto il rispetto per Carneade – siamo o non siamo infatti un po’ tutti probabilisti, o possibilisti?).

Marco Anzoletti nasce a Trento il 4 giugno 1867 in una famiglia dedita alla musica e alla cultura. Suo padre, Luigi, suonava il violoncello per diletto, e Marco ricorderà sempre con grande nostalgia, nelle sue lettere, il piacere del far musica in casa. I primi Anzoletti musicisti affermati furono i suoi zii, Giuseppe (violinista, direttore e compositore) e Francesco (pianista, organista e compositore). Marco è il secondogenito dopo Luisa, nata il 9 aprile 1863, destinata a divenire poetessa, conferenziera e pubblicista impegnata in molteplici campi, da quello nazionalista e irredentista a quello di emancipazione della donna in un’ottica fortemente cristiana (uno dei titoli dei suoi saggi dice tutto sulla devozione più grande sentita e praticata dalla famiglia Anzoletti: La fede nel soprannaturale e la sua efficacia sul progresso della società umana). Luisa studierà anche pianoforte e diverrà una pianista capace di accompagnare il fratello in tournée, ma colui che tra i due farà della musica una professione, sia come concertista e compositore sia come didatta, sarà il fratello: dopo il diploma al Regio Conservatorio di Milano, dove, oltre al violino, studia composizione con Gaetano Coronaro, Cesare Dominicetti e il più noto Amilcare Ponchielli, e dopo essersi perfezionato nello strumento a Vienna, Marco ottiene, giovanissimo, la cattedra di Violino nel conservatorio dove si era formato, subentrando al suo Maestro, Gerolamo De Angelis. Al “Verdi”, il Professor Anzoletti insegnerà fino al 1928. Studieranno alla sua scuola, confluita anche in opere didattiche per violino e viola tuttora utilizzate nei conservatori, una nutrita schiera di valentissimi strumentisti, sia uomini sia donne. L’affetto, direi quasi la venerazione per il Maestro traspare in commoventi lettere a lui indirizzate dai suoi studenti perfino dal fronte della Grande Guerra.

È tra Milano e Trento, più precisamente la collina a est della città, Mesiano, nella casa di famiglia denominata Villa Rosa (dal nome della mamma, Rosa Lutterotti), che Marco passa la sua vita e svolge la sua attività. Lo seguiranno presto nella grande città sia i genitori sia la sorella, con la quale vive quasi in simbiosi. Morirà a Mesiano nel 1929, quattro anni dopo Luisa, che era nata quattro anni prima di lui. Insisto non a caso sul rapporto di Marco con la sorella. Molte delle liriche sulle quali basa le sue arie vocali da camera sono infatti poesie di Luisa Anzoletti. Desidero citare per prima Preghiera di maggio, scritta il “15 marzo 1915” ossia durante il tumultuoso primo anno della Grande Guerra (tumultuoso soprattutto in Trentino, allora sotto il dominio austriaco) come preghiera per la pace, una pace di cui c’è quanto mai bisogno anche oggi. Ma ho potuto attribuire a Luisa anche un’altra lirica che, allo stato attuale, non era meglio precisata nelle schede bibliografiche, una Barcarola che si trova nella silloge della poetessa intitolata Vita. Nuove liriche (Bologna, Zanichelli, 1904). Pervasiva, tuttavia, era l’influenza di Luisa per le scelte e l’interpretazione dei testi poetici e letterari da parte di Marco. D’altronde, Luisa Anzoletti era letterata riconosciuta, e sue liriche vennero prescelte anche da vari altri compositori, come Raffaele Bazzigotti, Vincenzo Billi, Mario Ferrari, Giovanni Battista Meiners, Michele Saladino e Alfredo Sangiorgi, oltre che da una compositrice, Elisabetta Oddone. Parlando di sensibilità poetica femminile, una sensibilità ancora oggi tutta da scoprire, si rivelano particolarmente profonde due arie di Marco incluse in questo disco – L’Ora e Bacio morto –basate su versi (da Tempeste, 1895) di un’altra poetessa italiana che scende, tra le prime, negli abissi della psiche, Ada Negri. Benché non risuoni in questo disco, voglio citare qui il verso icastico con cui si spalanca un’altra sua poesia della stessa silloge, Ego sum: “Perduta? no… – Sorgendo come Iddia /”…

Tornando al nostro Anzoletti, egli divenne un artista noto non solo in Italia bensì in tutta l’area mitteleuropea e oltre. Clamoroso chi lo tenne a battesimo come compositore: inviò infatti ambiziosamente una sua composizione, le Variazioni per violino e pianoforte su un tema di Johannes Brahms, allo stesso Brahms, che apprezzò quel lavoro al punto da caldeggiarne la pubblicazione (per i tipi di Simrock nel 1894). Spicca tra i brani di questo album una composizione su versi di Arrigo Boito che alludono all’allora nuova arte della fotografia, descritta nel primo endecasillabo come “arte nata da un raggio e da un veleno” – viene spontaneo pensare anche alla copertina di questo disco, qui riprodotta: presenta una fotografia, da me individuata nel fondo Luisa Anzoletti della Comunale di Trento, che magicamente ritrae Marco e Luisa in un’istantanea di vita, anno Domini 1890. Ebbene, la composizione che ne ricava Marco ha la forma musicale, rarissima nel repertorio vocale da camera italiano (e non solo italiano), del tema (la partitura parla di “corale profano”) e variazioni: ad essere così intessute sono Tre Variazioni sopra il tema d’un madrigale per una sola voce che non potrebbero essere più diverse, dall’ardita concezione e pregevolissima fattura. Sempre su versi di Boito (la poesia datata “3 Luglio, 1867” che chiude il suo Libro dei versi, uno dei testi più importanti della scapigliatura milanese), Anzoletti compone anche un Lento dalla modernità armonica sorprendente. 

Ma ancora più sorprendente è il fatto che tutta la musica inclusa nel disco in questione sia ancora inedita. D’altra parte, della sterminata produzione di Anzoletti – 895 composizioni – solo un’esigua parte fu pubblicata. Di edito per voce e pianoforte, di Marco Anzoletti, figura ad oggi solo un canto irredentista su lirica della sorella, Canto delle terre redente (Milano, Monzino, senza data di pubblicazione), e un foglio d’album apparso in Strenna dell’Alto Adige nel 1902, Ti ricordi. Ma niente altro si ricorda. Tutte le composizioni incise nel disco presto disponibile esistono in forma di singoli manoscritti, alcuni leggibili, messi in bella copia, altri ancora nello stato di prima stesura, spesso di assai difficile decifrazione. Dobbiamo essere grati alla Biblioteca Comunale di Trento, che custodisce il fondo Anzoletti da quando le venne consegnato dalla Società Filarmonica di Trento, prima depositaria di questo materiale alla morte del compositore (al quale venne anche intitolato il Liceo Musicale di Trento, giusto per un po’…). Non fosse stato per la diligenza di queste due istituzioni, non avremmo la musica di Marco Anzoletti oggi. 

La copertina dell’album Da Vinci Classics dedicato alla prima
mondiale della musica vocale da camera inedita di Marco Anzoletti: il
compositore trentino appare in una fotografia del 1890 insieme alla
sorella, la poetessa Luisa Anzoletti

È di imminente uscita, dunque, una prima incisione mondiale di inediti assoluti, di cui tempestiva dovrebbe essere ora – questa è l’idea che stiamo delineando con il direttore della Da Vinci Publishing, Edmondo Filippini – la pubblicazione in edizione musicale. Sono composizioni che dischiudono un mondo. Vi si trova una musica estremamente varia, a tratti molto complessa, a tratti di una semplicità disarmante, sempre raffinata nella scrittura, dalla temperatura prevalente di tormentata passione al calor bianco, che cova sotto una castigata cenere tridentina. Ad esser messe in musica sono liriche di primissima grandezza (verrà reso disponibile dall’editore, per poter consultare le liriche integrali nella mia trascrizione, il seguente link: https://davinci-edition.com/product/c00832/). Anzoletti mette in musica, in Tutti quei morsi, persino Dante, andando a scovare nella Divina Commedia e segnatamente nella Cantica del Paradiso, un passo da veri cultori dell’opera (tale era Luisa), ossia le terzine (XXVI, 55-63) in cui il poeta giunge all’approdo del percorso dall’amor torto, quello dei beni materiali, degli idoli, a quello diritto, la carità, l’amor di Dio. Il tutto è reso da Anzoletti con una musica di sofferta ricerca che, in maniera stupefacente, raccorda l’espressività tardo ottocentesca a una matrice barocca, bachiana. Non è una coincidenza che Marco Anzoletti fu uno dei primi, in Italia, a dare un concerto tutto bachiano. Mete altissime si prefiggeva Marco, cominciamo a capirlo, e particolarmente rarefatta, tornando alle sue composizioni, è l’aria che scrive su versi di Francesco Petrarca, una Quando Amor… dalle tinte mahleriane. Non manca una figura centrale dell’epoca, Carducci: sue sono le liriche di Vere Novo, La lavandaia di San Giovanni e O piccola Maria, oltre ai versi, tradotti da Klopstock, che compaiono in Romanza in fa minore

Anzoletti sceglie anche liriche di poeti meno noti, tra i quali voglio citare per primo Giovanni Bertacchi: carducciano, pascoliano, soprattutto mazziniano, docente prima nei ginnasi e poi come italianista all’Università di Padova, fu uno dei pochissimi a lasciare la cattedra universitaria per sua volontà prendendo posizione contro il fascismo – è il caso di ricordarlo, in questi nostri tempi di conformismi vari. Con l’affascinante concetto de Il “nulla d’oro” , Bertacchi ha contribuito innanzitutto all’omonima aria di Anzoletti (qui si può ascoltare nel video che lancia l’uscita dell’album), e secondariamente, si parva licet, mi ha ispirato il titolo dell’album, “Golden Nothingness”. La musica è sempre un nulla, qualcosa di impalpabile, e la buona musica in particolare è incalcolabilmente preziosa!

Sempre parlando di poeti oggi meno noti, L’esule slava, di cui nelle schede bibliografiche esistenti non era specificato l’autore dei versi, corrisponde a L’esule della Polonia, uno dei Canti popolari (datato “Napoli, marzo 1848”) del poeta e patriota Francesco Dall’Ongaro, egli stesso esule ramingo per l’Europa durante il Risorgimento – ma anche ai nostri tempi, il tema di chi debba lasciare il suolo natio, non è affatto alieno. Figurano in questo album inoltre dei versi di Luigi Orsini (L’Allodola è poesia che compare, come stornello, in un omonimo romanzo dello scrittore e librettista imolese, che insegnava Letteratura poetica e drammatica al Conservatorio di Milano e perciò, di Marco, era collega). Prominente infine il ruolo del poeta trentino Giovanni Prati (sul quale Luisa diede una conferenza l’11 novembre del 1900), autore delle liriche (raccolte in Canti per il popolo,1843) che Anzoletti trasforma nei suoi Canti d’Amore (3 Lieder): La Rosa e gli Amanti, Sogno dell’Alba e Tutto ritorna (gli unici brani, insieme a Preghiera di maggio, di cui si abbia indicazione della data di composizione, recando qui il manoscritto “Villa Rosa, 26 ott. 1894”). L’ultimo brano vede anche la sorpresa di un duetto tra soprano e baritono, dove la bella voce è del giovane Matteo Mencarelli (già incoronato da Leo Nucci nella finale del Concorso “Giulio Neri”, da lui vinto, come grande promessa del panorama lirico), qui al suo debutto discografico.

Ciò che viene presentato in questo disco ambisce a completezza per quanto riguarda la produzione di Anzoletti per pianoforte e soprano (idonee anche al registro di tenore sono Il “nulla d’oro”, le Tre Variazioni e Tutti quei morsi, quest’ultima anche per baritono). Sono stati esclusi da questa selezione brani inequivocabilmente pensati per voce maschile, come una bella Serenata Indiana pure presente nel catalogo anzolettiano. Un altro brano, Canzonetta, questo senza dubbio per voce femminile, è stato invece da me espunto per un’altra ragione: è in dialetto veneziano, anziché in lingua italiana come tutti gli altri, ma soprattutto l’ho riconosciuto come brano popolare e l’ho rintracciato infatti, in versione musicalmente assai simile, sotto il titolo di Amor ti xe un putelo nella Raccolta di canzonette popolari veneziane: con accompagnamento di pianoforte (Ricordi, 1840); è quindi a mio avviso meglio configurabile, piuttosto che come composizione originale di Anzoletti, come trascrizione dello stesso. Vi sono infine nel fondo anzolettiano alcune composizioni, segnatamente delle Ballate, il cui carattere esonda da quello di arie vocali da camera e che, a mio parere, richiedono un lavoro ad hoc

D’altra parte, la carne al fuoco era già tanta. Di tesoro in tesoro, si configura in quest’album la musica di un artista che va riscoperto anche come liederista. La sua scrittura rimarrà forse primariamente quella di un violinista, essendo le parti a tratti piuttosto “scomode” sia per il pianoforte sia per il canto (vi sono ad esempio, a livello vocale, dei brani che insistono sul passaggio di registro, come forse un autentico conoscitore della tecnica del canto lirico avrebbe evitato). La vocazione di Anzoletti di scrivere musica da camera in ottica mitteleuropea tuttavia c’è ed è nettissima anche in campo vocale: a questo proposito, non tanto e non solo melodramma si doveva contemplare, benché anche in questo il nostro si cimentasse, ma anche e soprattutto musica vocale da camera, di altissima fattura, che mirasse poeticamente e musicalmente al sublime. In una lettera a Luisa, Marco, l’autore di variazioni, il cultore di Bach e Mozart, si lamenta di come gli editori della sua epoca, Sonzogno, Ricordi, sostenessero solo la musica dei loro Giordano e Puccini… Questa, evidentemente, è una delle ragioni per la disattenzione ai lavori cameristici di Anzoletti.

Ma Tutto ritorna, come fa sperare il titolo dell’ultimo brano racchiuso nell’album: a distanza di poco meno di cento anni dalla sua scomparsa, Marco Anzoletti può forse alfine colpire nel segno, risuonando nei destinatari ricettivi che doveva aver avuto in mente quando componeva. Noi che abbiamo preso parte a questo progetto di riscoperta – voglio menzionare per il suo strenuo e appassionato impegno anche l’ingegnere del suono, Giordano Corsetti (PFL, Monte San Giusto) – siamo stati profondamente colpiti da questa intensità. Speriamo anche di essere stati all’altezza del compito, il compito di riportare alla luce una musica ingiustamente dimenticata. Io, in verità, non dimentico neanche l’antidilettante monsieur Croche, alter ego letterario di Debussy che ammoniva: “certi defunti, in verità, sono troppo discreti e aspettano troppo lungamente la melanconica riparazione della gloria postuma. Per sollevare il velo della morte, mani scrupolose sono necessarie; purtroppo le esumazioni sono fatte in generale da mani maldestre, le quali, guidate da un basso e segreto cinismo, lasciano ricadere nell’oblio quei poveri funebri fiori”. Della nostra cura saranno ora gli ascoltatori a giudicare.

Anzoletti stesso ci lascia detto qualcosa sull’ambito misterioso che è la musica ancora da svelare. Sotto la supervisione della sorella si cimentò infatti anche nella poesia (io ipotizzo che siano usciti dalla sua penna i versi per una volta scherzosi – in mezzo a tanto struggimento – di Com’è arzillo stamattina…, unica lirica dell’album il cui autore non è identificato), e in uno dei suoi Sonetti musicali (Milano, Cogliati, 1902)), dopo aver passato in rassegna vari musicisti noti e arcinoti, dedica l’ultimo sonetto a La musica ancora ignota. Queste le terzine con le quali conclude: 

Coro immenso di spirti che procede

Da un remoto poter che tutto innova,

Come fulmin che a fulmine succede

Prorompon le armonie dell’arte nuova.

Squillo supremo; suon che i suoni eccede;

Par l’Infinito verso il tempo muova!

Davvero: l’infinito che si fa ora, tramite un suono passato che torna presente, portando con sé la vita da cui era originato. Ma lasciamo l’ultima parola a Luisa, la vera poetessa della famiglia. Nella sua poesia Parla così la musica, ci dà ulteriore riprova di come la concezione della musica in casa Anzoletti fosse la più alta che si possa immaginare:

[…] 

Parla così la musica

[…]

È la sua voce or della morte il gemito,

Or della vita il grido.

[…]

Perché solo le lacrime

Non sieno il fonte delle idee più belle,

E possa  ’l cor intendere

La gloria che di Dio narran le stelle.


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