1. Riformulare l’Alterità
Il termine “alieno”, così caro alla fantascienza, significava in origine estraneo o straniero. Di derivazione latina (alienus), indica infatti una persona che non è residente o che è priva di cittadinanza. Di qui a parlare di alien races il passo è breve. In America, l’alieno è l’immigrato: si distingue tra legal alien (un non-cittadino con permesso di soggiorno), resident alien (un non-cittadino con residenza temporanea), non-resident alien (un non-cittadino in visita nel Paese per affari o cure mediche o altro), e illegal alien (un non-cittadino che è entrato nel Paese senza autorizzazione). A queste categorie si aggiunge quella degli enemy aliens, riconosciuti come nemici della nazione. La voce alien è riportata fin dai tempi del Devil’s Dictionary dello scrittore satirico americano Ambrose Bierce (1842-1914): “An American sovereign in his probationary state” [1]. Bierce, che non menziona direttamente i Marziani, inserisce nel suo libro un dialogo tra un Terrestrial e un Lunarian, ispirato a quanto afferma a un vecchio libro di cui dà titolo (The Lunarian Astonished), e riferimenti fittizi alla Boston del 1803 [2].
Come arriviamo, allora, all’uso del termine a indicare entità extraterrestri? Fin da tempi remoti l’immaginazione umana ha ipotizzato l’esistenza di creature provenienti da altri mondi o dimensioni parallele. L’idea di una somiglianza interplanetaria ha dato origine a varie teorie tra cui quella secondo la quale Marziani e Umani discenderebbero da un ceppo comune [3]. Il dibattito sui mondi abitati è stato vivace per secoli, implicando problematiche di tipo etico e costituendo per lungo tempo un nodo inestricabile a livello teologico. La teoria dell’esistenza di un’infinità di mondi è molto antica; nella civiltà occidentale risale agli atomisti greci, seguiti poi da Epicuro (341-270 a.C.); in epoca romana, Lucrezio (98/5 – 55/1 a.C.) aggiunge l’ipotesi della presenza della vita in essi. Mentre Aristotele (384-322 a.C.) si pronunciava contro la possibilità di altri mondi, Plutarco (46/8-125/7 d.C.) ne sarà un acceso sostenitore e in De facie in orbe Lunae si pone domande circa l’abitabilità del nostro satellite. Da Agostino (354-430) in poi si apre la discussione sul fatto che la teoria di mondi infiniti e abitati possa contraddire l’esistenza di un solo Dio onnipotente, minando così il dogma della Creazione; Tommaso d’Aquino (1225-1274) si esprime a favore della non contraddizione, ma sarà solo nella seconda metà del XIII secolo, grazie al vescovo di Parigi Etienne Tempier, che l’ipotesi limitativa secondo cui “the First Cause cannot make many worlds” inizierà a essere gradualmente abbandonata [4].
Sarà, in seguito, William of Ockham (1287-1347) ad ammettere la possibilità che Dio abbia creato altri mondi con elementi diversi da quelli conosciuti da Aristotele; Nicole Oresme (1323-1382) concederà che Dio nella sua onnipotenza abbia potuto fare altri mondi uguali o diversi dal nostro; e Cusano (1401-1464) abbraccerà decisamente l’idea che esistano altri mondi abitati, tutti originati da Dio e i cui abitanti hanno addirittura una natura più spirituale rispetto a quella dei terrestri [5]. Ci stiamo già avvicinando a una tipologia di Marziani che incontreremo in queste utopie: se Galileo Galilei (1564-1642) s’inserisce nella disputa sostenendo che non ci possono essere abitanti sui pianeti, se per abitanti intendiamo animali e uomini, è invece Giordano Bruno (1548-1600) a sostenere che “l’universo è infinito ed eterno e anche abitato” [6]. Keplero (1571-1630), che pure non condivide la visione infinitista di Bruno, parla di abitanti della Luna in Astronomiae Pars Optica (1604) e in Somnium (1608) e conserverà per tutta la vita l’idea che stelle e pianeti siano abitati da creature simili a noi, probabilmente di dimensioni gigantesche ma dotate di una breve vita, che avrebbero costruito città, fortificazioni e giardini.
Il dibattito sopra accennato è interessante non tanto per i suoi risvolti fisici o biologici quanto per le sue implicazioni teologiche e filosofiche, visto che rischia di mettere in discussione il posto privilegiato dell’uomo nell’universo, oltre che per il fatto che si svolge nell’arena internazionale e coinvolge diverse discipline umanistiche e scientifiche. I romanzi qui presentati, pur rivolgendosi a un ampio pubblico come tutte le storie di fantasia e le utopie, dimostrano una conoscenza non superficiale sia delle scoperte scientifiche sia del background filosofico e culturale. Si collocano dunque a pieno titolo tra le opere significative del loro tempo, un trentennio molto importante negli Stati Uniti a livello sociale e politico, visto che tra i temi dibattuti vi sono le politiche di accoglienza degli emigrati dall’Europa e dall’Asia, il suffragio universale, una nuova agenda economica per il Paese. L’incontro con l’Altro si esplica dunque in una cornice particolarmente “calda”, e trascina sul campo stereotipi e pregiudizi accanto alle rivendicazioni civili e sociali. Faremo in modo di osservare tutte le caratteristiche di questi incontri, ma va fatta una premessa: i sentimenti spesso legati all’alterità – paura, ribrezzo, angoscia, insomma le reazioni riguardanti l’alterità vissuta come problematica – sono dei tutto assenti da queste narrazioni. È importante sottolinearlo, perché si tratta una stagione che non si ripeterà, e che lascerà invece spazio all’orrore e al mostruoso. La paura dell’Altro in quanto diverso da noi (Jacques Lacan), così come l’angoscia dell’estraneo (René Spitz), sono quasi assenti in questi volumi, che al massimo potranno trasmetterci un senso di spaesamento heideggeriano [7].
Per Kristina Maria Doyle Lane, che nel 2006 individua nelle rappresentazioni marziane della narrativa americana di fine Ottocento-primi Novecento un’importante specificità rispetto non solo a quelle britanniche e generalmente europee, ma anche rispetto al darwinismo sociale e all’Orientalismo:
Le rappresentazioni dominanti della cultura marziana sono state influenzate dalla filosofia del darwinismo sociale e dalla tradizione orientalista della scrittura geografica sull’Altro non- occidentale. Allo stesso tempo, però, la costruzione di un Marziano superiore, nei testi come nelle immagini sia scientifiche sia popolari, indica che il discorso su Marte si discostava in modo significativo dalla scrittura convenzionale relativa al mondo terrestre. I Marziani erano tipicamente rappresentati come più intelligenti, più organizzati, più pacifici e tecnologicamente più avanzati degli umani. Tuttavia, pubblici diversi risposero a questo nuovo fenomeno in modi diversi, il che suggerisce che il contesto nazionale ha avuto un impatto significativo sulla produzione, il consumo e la circolazione delle geografie marziane. Mentre il pubblico britannico fu estremamente cauto nelle sue reazioni alla teoria di Marte abitato, ad esempio, il pubblico americano accolse con entusiasmo il ritratto extraterrestre delineato da Lowell e dai suoi sostenitori. […] la disponibilità americana a considerare il Marziano superiore, alla stregua di un mentore non pericoloso, riflette una più ampia riformulazione dell’incontro americano con l’Altro. Il discorso marziano, infatti, riflette un orientalismo americano che si differenzia dalla costruzione europea per la mancanza di paura, la prevalenza dell’ottimismo e l’attenzione alla scienza e alla tecnologia come mediatrici culturali. [8]
L’incontro americano con l’Altro risulta legato anche alla Progressive Era:
L’incontro americano con l’Altro fu quindi più ottimista e meno timoroso quello europeo, il che spiega forse perché la mania di Marte ebbe una risonanza molto più forte presso il pubblico americano. Fondendo una tranquilla curiosità scientifica con la sua visione politica progressista, Lowell creò un Altro marziano che implicava un enorme squilibrio di potere, ma che non ispirava alcun panico reale. […] L’elemento più importante delle rappresentazioni culturali di Marte risiedeva nella loro capacità di riformulare l’incontro dell’Occidente con il suo Altro culturale. La proiezione di esseri intelligenti su Marte si rifaceva in qualche modo alla tradizione orientalista di rappresentare il Medio Oriente come l’opposto polare dell’Europa. Tuttavia, nello stabilire una potente geografia immaginaria per Marte, molti scrittori hanno riformulato con entusiasmo il paragone, presentando la civiltà marziana come superiore alle culture occidentali della Terra. [9]
2. Creature diverse – anzi, no, uguali
In Journey to Mars di Gustavus W. Pope (1894) i Marziani sono suddivisi in tre razze (Rossi, Gialli e Blu) e la loro società è di tipo feudale, con duelli che anticipano quelli dei romanzi di Burroughs, ma hanno una tecnologia avanzata che comprende ethervolt cars e anti-gravity aircraft, nonché strumenti di comunicazione che sono gli antesignani della televisione e del videotelefono. Troviamo anche un mago marziano, che è telepatico, invoca gli spiriti e legge il futuro dell’eroe. Più interessante e articolato è il caso in cui incontriamo indirettamente non una, bensì due creature molto diverse da noi: si tratta del romanzo di James B. Alexander The Lunarian Professor (1909), dove prima facciamo la conoscenza del professore del titolo, “a more remarkable creature I never read about or dreamed about” [10], poi lo ascoltiamo descrivere un Marziano. Iniziamo col Lunariano. Non solo è provvisto di varie paia di ali, ma,
In aggiunta a queste ali, c’erano altri sei arti, due dei quali erano gambe e due braccia, […] Gli ultimi due arti erano attaccati al torace a un’altezza intermedia fra le braccia e le gambe, e stavano incrociate sul torace. Giunsi alla conclusione che questi ultimi potevano essere usati come gambe o come piedi a seconda di quanto richiedesse l’occasione […] La testa era immensa, tale da possedere probabilmente una capacità doppia rispetto alla testa umana più grande. La parte superiore era a forma di globo, e la parte inferiore, che si sarebbe potuta chiamare il viso, era allungata e a forma di cuneo, affusolandosi verso la mascella. […]. Non aveva il mento. Gli occhi stavano subito sopra la bocca. [11]
La comunicazione inizia in inglese per passare poi a una forma di telepatia:
Quando mi rivolsi a lui, parlai in inglese articolando bene le parole e lui parve capirmi come chiunque altro. Ma i suoi pensieri arrivarono a me come onde o pulsazioni come se mi fossero state iniettate fisicamente nel cervello senza che io me ne accorgessi o provassi alcuna sensazione. In breve, giunsi a percepire che si trattava di una trasmissione telepatica di idee. [12]
Solo in un secondo momento il narratore apprende la provenienza del professore alieno: “‘La mia patria è la Luna”, disse lui senza scomporsi
Dopo questa presentazione e alcuni capitoli di spiegazioni e informazioni di vario tipo, arriva il momento di descrivere i Marziani, con cui i Lunariani hanno rapporti da più di 10.000 anni, cioè da quando erano un popolo guerriero (ora non più):
Devono assomigliare alla nostra razza, allora,” osservai.
“Sì,” replicò, “per quanto riguarda i loro istinti bellici, ma non per l’aspetto fisico. Non sono né umani né vertebrati, ma sono costruiti a pianta radiata. In breve, sono quasi esattamente come le vostre stelle marine, ma enormemente più grandi. […] C’è un disco di carne all’estremità di ogni arto, attorno al quale, come i petali di un fiore, ci sono le dita dei piedi, come tanti pollici. […] Quando si muovono sulla terraferma è sempre in posizione eretta, e rotolano in senso longitudinale come una ruota priva della parte esterna che rotola sulle estremità dei raggi. Il pezzo centrale o mozzo costituisce il corpo, che comprende lo stomaco, il cuore, i polmoni, ecc. La forma del corpo è quella di un cilindro corto e robusto che si assottiglia a una punta arrotondata a ogni estremità, con un diametro che va da un metro e mezzo a due metri, e le gambe che si irradiano dai lati. Al centro di un’estremità del corpo si trova la bocca, e il cervello è collocato tutto intorno a essa in quelle che noi chiamiamo guance. Non c’è collo. Immediatamente intorno alla bocca ci sono sei occhi, in corrispondenza con le sei gambe, e appena fuori dagli occhi ci sono sei buchi che fungono da orecchie: hanno una specie di palpebre, ma sono prive di padiglioni esterni. Fuori ci sono sei fori per la respirazione che portano ai polmoni. La bocca è rotonda e le labbra si increspano quando si chiudono. L’uomo marziano non ha un alto o un basso, sta in piedi ugualmente bene su qualsiasi paio di gambe e usa ugualmente bene qualsiasi mano, e questo è uno dei suoi maggiori svantaggi. […] quando il Marziano ha voglia di farlo, può camminare benissimo di lato su due gambe, cioè con la testa o la bocca in avanti. [14]
Il professore insiste sugli insegnamenti che i Marziani avrebbero ricevuto nel corso dei secoli dai più civili Lunariani: “They have plenty of iron on Mars and our folks taught them how to smelt and work it” [15]. Quanto ai dubbi che il narratore esprime circa la possibile intelligenza di queste creature, gli vengono fugati in questo modo:
“L’intelligenza”, spiegò il professore, “non dipende dalla forma. Qualsiasi forma su cui le energie dell’ambiente, come la luce, il calore, il contatto, ecc. possano esercitare un’impressione, è già intelligente; la capacità di essere impressionata è intelligenza. Se un organismo può essere impressionato, se gli si dà abbastanza tempo, può essere impressionato all’infinito, perché ogni impressione lo differenzia e aumenta la sua sensibilità, cioè la sua capacità di essere ulteriormente impressionato. Il motivo per cui le razze inferiori rimangono generalmente inferiori è la gelosia e l’ostilità dei superiori. La razza dominante è sempre ostile a qualsiasi altra razza che mostri un minimo di intelligenza e procede a ucciderla subito, per paura che diventi una rivale. È così che la razza dell’uomo non ha rivali che si confrontino con lui in termini di intelligenza, nessun ‘anello di congiunzione’ tra lui e le scimmie. Era geloso di loro e le ha sterminate.” [16]
Questo accenno alle “razze inferiori” e in particolare alle scimmie ribadisce il posto dell’uomo in una evidente gerarchia di tipo creazionista. L’importanza dell’ambiente, invece, anticipa le teorie dell’umwelt e dell’ecologia cognitiva, che pongono in primo piano le relazioni antropiche e mettono l’intelligenza del singolo in correlazione con l’ambiente specifico di appartenenza. In questo contesto, il professore lunariano funziona da anello di congiunzione fra i terrestri e i Marziani e quasi da mediatore culturale. Nel capitolo successivo impariamo che anche i famosi canali sono stati costruiti con l’aiuto dei Lunariani, i quali hanno investito molto denaro ed energia per opere d’ingegneria marziana. Il testo rivela numerosi spunti interessanti, quali la descrizione del regime (che è monarchico), della religione, del modo di baciarsi, e così via, anche se in queste parti risulta piuttosto in linea con i modelli della narrativa utopica convenzionale e non sempre innovativo. Torneremo su questo nell’ultimo capitolo.
Anche in To Mars via the Moon di Mark Wicks (1911) forma e intelligenza sono affrontate insieme, questa volta nella prefazione dell’autore:
Sebbene nessuno possa affermare con certezza che gli abitanti intelligenti di Marte non possiedano corpi simili al nostro, è molto probabile che siano completamente diversi da noi e che possano avere forme che a noi appaiono strane e bizzarre. Tuttavia, ho preferito dotare i marziani di corpi simili ai nostri, ma glorificati nella forma e nelle caratteristiche. I poteri attribuiti ai marziani sono in realtà mere estensioni di poteri che alcuni di noi sostengono di possedere, e restano comunque al di sotto di quelli che più di uno scrittore scientifico moderno ha previsto come possibili in un futuro non molto lontano
Forma e intelligenza, dunque, non bastano a garantire la giusta percezione dell’identità, sia la nostra, sia quella altrui: serve un’estensione delle facoltà mentali, di quelle stesse energie psichiche che molti scienziati o paseudoscienziati sostengono di avere (o di cui non negano l’esistenza). Soprattutto la frase finale della citazione è importante nell’ambito del tema di questo capitolo, in quanto ci fa apparire l’Altro come superiore a noi, ma ci promette allo stesso tempo che anche noi – con forme diverse dalle sue, ma non troppo – potremo raggiungere il suo stesso livello di intelligenza. Il Marziano diventa dunque lo specchio in cui noi non vediamo più l’Altro, ma noi stessi proiettati nel futuro grazie alla scienza.
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[1] A. Bierce, The Devil’s Dictionary (1881-1906), in https://www.gutenberg. org/files/972/972-h/972-h.htm (07/09/2023): Un illustre americano nel suo periodo di prova. (AC)
[2] A. Calanchi, Marziani a stelle e strisce, cit.
[3] H. Brennan, Martian Genesis: The Extraterrestrial Origins of the Human Race, Dell, New York 2000.
[4] M.J. Crowe, The Extraterrestrial Life Debate 1750-1900, Cambridge UP, Cambridge (UK) 1986, p. 6: La Causa Prima non può creare molti mondi. (AC)
[5] Ivi, pp. 7-8.
[6] A. Fantoli, Extraterrestri. Storia di un’idea dalla Grecia a oggi, Carocci, Roma 2008, p. 48.
[7] Concetti citati e rielaborati in M. G. Eusebio, Introduzione e capitoli 4.7 e 6.3 in Il problema dell’altro. Psicologia dei media tra identità e alterità, pp. 9-21, 123-125, 158-160. È interessante notare come gran parte delle considerazioni dell’autore si possano applicare anche all’ambito dell’utopia (che dopo tutto è un medium letterario di grande valenza simbolica).
[8] K.M. Doyle Lane, op. cit., pp. 14-15
[9] Ivi, pp. 201-202
[10] J.B. Alexander, The Lunarian Professor and His Remarkable Revelations Concerning the Earth, the Moon and Mars, Minneapolis, Minnesota 1909. https://www.gutenberg.org/files/60059/60059-h/60059-h.htm#Page_225 (07/09/2023).
[11] Ivi, Chapter II
[12] Ivi, Chapter II
[13] Ivi, Chapter II
[14] Ivi, Chapter II
[15] Ivi, Chapter XIII:
[16] Ivi, Chapter XIII