L’arte del rivelarsi. Recensione di “Sotto il segno di Saturno” di Susan Sontag

La raccolta di saggi Sotto il segno di Saturno è l’ultima fatica editoriale della casa editrice romana nottetempo che ha deciso di rispolverare e ripubblicare l’intera bibliografia della scrittrice e filosofa americana Susan Sontag, sotto la curatela e la traduzione di Paolo Dilonardo, professore di letteratura inglese all’Università di Bari. 

Sontag nasce nel 1933 ed è, sin dagli anni universitari di Harvard, come si evince anche dalla biografia vincitrice di un premio Pulitzer nel 2020 di Benjamin Moser, interessata sia alla teoria critica di matrice francofortese, sia alla filosofia in generale, visto anche il suo dottorato di ricerca – sempre ad Harvard – incentrato sulla filosofia antica, l’etica e la metafisica classica. L’interesse per il pensiero francofortese si sviluppa anche attraverso l’incontro con il filosofo tedesco Herbert Marcuse che, durante i suoi anni di insegnamento ad Harvard, nel 1955, compose parte della sua opera più importante, Eros e Civiltà, durante un soggiorno a casa di Sontag e del suo compagno Philip Rieff. 

È possibile dedurre questo profondo interesse sin dalla raccolta di saggi Contro l’interpretazione del 1966, edita in Italia sempre da nottetempo (2022). Nella scrittura di Sontag il metodo filosofico si accompagna all’analisi estetica e, in particolare, a quella del rapporto tra ciò che può essere definito come artisticamente valido e la realtà, la vita. La raccolta di saggi Sotto il segno di Saturno non è sicuramente da meno visto l’intento, da parte dell’autrice, di accostare a un livello apparentemente saggistico e bibliografico i costanti riferimenti attinti sia dalla cultura del tempo, sia dall’orizzonte stesso del pensiero di Sontag. Composta tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta e pubblicata per la prima volta nel 1980, la raccolta si sviluppa intorno all’omonimo saggio centrale. In queste pagine l’autrice sviluppa un’analisi della persona di Walter Benjamin, un altro dei filosofi più rilevanti all’interno della Scuola di Francoforte. Nel corso del testo la filosofa americana concentra la sua riflessione, in particolare, sul rapporto di Benjamin con la propria vita e la percezione che questa relazione si interfacci, a sua volta, con la scelta di analizzare e approfondire autori percepiti a lui più affini come, ad esempio, Charles Baudelaire e Marcel Proust. In tutta la penna benjaminiana il carattere saturnino viene spesso a galla: ciò è determinato anche da una costante indolenza e da un’autodisciplina costante in campo lavorativo. Questo carattere si estende a macchia d’olio su tutti i profili descritti nei vari saggi come quello di Antonin Artaud. 

Artaud diventa, sotto l’occhio attento da lettrice di Sontag, l’archetipo perfetto di ciò che è il modernismo letterario e, nella sua trattazione, – che spera di cogliere il nocciolo più ultimo dell’esperienza letteraria, teatrale, filosofica e di pazzia di Artaud stesso – la matrice della più grande critica che il modernismo letterario ha posto nei confronti dell’arte letteraria: quella del rapporto con la vita. L’esperienza di Artaud, persona (oltre che autore), è tormentata dal rapporto con la mente e con il corpo ed è esasperata dal pensiero più intimo di creare un’arte che, sì, coinvolga lo spettatore, ma anche il mondo stesso. La sua ricerca di arte totale che, però, si svincoli dalla vita, lo porta ad affacciarsi sia all’esoterismo – poco prima del sopraggiungere della pazzia e dell’internamento nella clinica psichiatrica di Rodez nel 1943 – sia al surrealismo, per poi distaccarvisi per problemi di natura politica e letteraria con André Breton. Di natura letteraria, anche in virtù della percezione dei due nei confronti della mente stessa: se Artaud vedeva nel suo subconscio la prima radice del suo struggimento, Breton vedeva nella psiche l’unico accesso positivo dell’arte. Se per Artaud l’arte era l’unico modo per staccarsi dal sé inglobandosi nella carne stessa, per Breton era un semplice viatico felice per produrre qualcosa di nuovo. 

Il tema della produzione e di come qualsiasi forma d’arte venga alla luce è centrale in Sontag per percepire il modo con cui i fatti vengono esperiti. In Malattia come metafora del 1978, il focus è posto su come la forma d’arte plasmi una realtà e la racconti. L’esempio perfetto è costituito da un breve saggio intitolato Fascino fascista. Qui, sono due i fenomeni a essere analizzati: il cinema di Leni Riefenstahl e il suo accostamento al feticismo di natura erotica delle divise delle SS che spopolava in quegli anni. In questa trattazione il cinema di Riefenstahl viene ampiamente criticato e valutato come forma simbolica più pura dell’idea stessa dietro al Nazismo e al Fascismo. Il cinema di Riefenstahl, nonostante la rivalutazione che Sontag stava vivendo, è anche posta nei confronti della popolazione indigena dei Nuba, oggetto del documentario omonimo della cineasta tedesca del 1973, paradigmatico di un modus operandi che ha come interesse ultimo l’enfasi sull’eroismo e sulla corporeità e una svalutazione della natura sessuale benché non di quella erotica. L’erotismo diventa erotismo di Stato e ciò si deduce dall’interesse della popolazione dei Nuba o, in particolare, ai maschi dei Nuba (l’attenzione di Riefenstahl è solo nei confronti della popolazione maschile) in una forma di erotismo della dinamica della lotta che i vari individui di questa tribù dovevano affrontare per dimostrarsi il più forte. 

Susan Sontag, Sotto il segno di Saturno, nottetempo, 2023, pp. 216, 17€

Quest’analisi fortemente critica nei confronti di una regista (cosa molto rara per Sontag stessa, che preferiva l’analisi costruttiva alla critica) si colloca all’interno della raccolta insieme al saggio di apertura, un vero e proprio encomio nei confronti dell’artista e sociologo anarchico  Paul Goodman, scomparso proprio nel 1972, mentre l’autrice stava soggiornando a Parigi per motivi legati al suo lavoro di scrittrice. Questa perdita la colpì enormemente a livello personale e il saggio è pervaso da nozioni di carattere biografico, come il suo primo incontro con Goodman o con quale libro si approcciò alla sua scrittura. Ciò è accompagnato da un’analisi della vita e dell’opera di Goodman, seguendo il filone del rapporto tra arte e vita e mostrando come, anche a livello stilistico, il ricorso alla propria esperienza personale non risulti di scarsa importanza, ma vitale per comprendere in maniera migliore le intenzioni più intime di un autore che si sta affrontando e conoscendo, come mostra anche il cinema di Hans-Jürgen Syberberg descritto da Sontag stesso intorno alla figura di Adolf Hitler, protagonista-oggetto del film Hitler: un film dalla Germania del 1977. 

Nella trattazione della pellicola di Syberberg l’elemento di prospettiva del soggetto si focalizza – come anche in un suo saggio successivo edito da Einaudi nel 1989, intitolato Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società – non solo su come il dittatore nazista sia stato percepito da se stesso, ma anche da chi viveva sotto il suo dominio, chi esperiva le notizie intorno alla Germania in quel periodo e anche nei confronti della prospettiva dello spettatore stesso. La dinamica del cinema di Syberberg influenza tutti e cerca di mostrare la prospettiva, anche la più superficiale, mettendola al centro della trattazione. 

In chiusura della raccolta, sono poste le trattazioni intorno al semiologo e filosofo francese Roland Barthes e allo scrittore e antropologo bulgaro naturalizzato inglese Elias Canetti. Se il primo, riprendendo il lavoro di apertura di Sotto il segno di Saturno su Paul Goodman, è un’analisi della vita e delle opere di Barthes per encomiare una vita spentasi troppo presto, il secondo è un’analisi che, partendo dalla prospettiva di un discorso tenuto da Canetti in occasione del cinquantesimo compleanno, nel 1936, di Hermann Broch, scrittore e drammaturgo austriaco naturalizzato statunitense, si dirama intorno alla dimensione più propria della scrittura e della vita di Canetti: quello di confrontarsi con modelli forti. Questo contraddistingue sia tutta la produzione analizzata da Sontag nella sua trattazione, ma anche quella successiva di Canetti, sia, uscendo dalla raccolta, anche la vita di Sontag che, durante tutta la sua esistenza si è cimentata in un dialogo costante, positivo e non, nei confronti di vita e di penne estremamente complesse. 

Sotto il segno di Saturno sancisce il rapporto post mortem tra nottetempo e Susan Sontag, portando in Italia una raccolta che, guardando il passato, si rivolge al futuro attraverso l’analisi delle vite di alcune personalità che hanno contraddistinto il Novecento;andando oltre a esse, si confronta con il rapporto tra produzione di massa e la politica, l’opera d’arte e l’analisi del mondo che ci circonda, la semiotica e i segni stessi che analizziamo della nostra esistenza. Il focus centrale del lavoro di Sontag, messo in risalto anche dalla traduzione e dalla piccola bibliografia in quarta di coperta di Dilonardo, è sì l’analisi delle opere e delle vita, ma pur sempre in una prospettiva di ampio respiro in grado di toccare il politico, il sociale, l’arte e la vita. L’estetica di Sontag non può essere vista come meramente fine a se stessa, ma ha come obiettivo e oggetto di analisi il più intimo rapporto tra il soggetto con il mondo, con il politico e con il sociale. Proprio per questa ragione la raccolta si rivolge a un pubblico specialistico, ma anche a chi conosce solo uno dei vari nomi citati in questa raccolta e ha intenzione di prodigarsi in un’analisi che, riprendendo le tipiche argomentazioni portate da Theodor W. Adorno e dalla Scuola di Francoforte, tenderà sempre a procedere non solo nei confronti del reale a lei contemporaneo, ma anche nei confronti del futuro stesso, nei confronti dell’Altro che legge e che leggerà. 

L’importanza della riscoperta di Sontag attraverso il lavoro di Dilonardo e di nottetempo può sembrare marginale ma, addentrandosi nei testi, il tutto risulta fin troppo evidente: la penna della scrittrice e filosofa americana è l’anello di congiunzione necessario tra la riflessione tra le due metà del Novecento, tra I Mandarini di Simone De Beauvoir e I Samurai di Julia Kristeva, tra l’esistenzialismo e la teoria critica e lo strutturalismo, la semiotica e il rizoma di Gilles Deleuze. In definitiva, la pregnanza del pensiero di Sontag ha come referente primo il passato che conferisce uno sguardo verso l’Altro, non solo in senso psicanalitico o fattuale per il lettore, ma va anche a essere il futuro, il prossimo dimenticato o un lato del lavoro di un autore mai veramente valutato come le opere minori citate nel saggio su Benjamin. Susan Sontag è stata un’autrice importante per i movimenti sessantottini e deve essere rivalutata per capire come questo metodo sia necessario per riscoprire l’arte e come essa si interfacci al mondo.


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