Cinema e banlieue. Spazio striato, spazio liscio ed eterotopie

Quali sono i rapporti tra il sottoproletariato delle banlieue e la borghesia parigina? E che ruolo gioco la rappresentazione dello spazio in questa relazione? Il volume di Paolo Lago e Gioacchino Toni, Spazi contesi. Cinema e banlieue. L’Odio, I Miserabili, Athena, (Milieu, 2024), propone un’originale lettura della messa in scena delle banlieue nel cinema francese alla luce della rappresentazione dello spazio. Di seguito proponiamo un estratto dell’introduzione. 

L’Odio (La Haine, 1995) di Mathieu Kassovitz, I Miserabili (Les Misérables, 2019) di Ladj Ly e Athena (2022) di Romain Gavras hanno il merito di proporre tanto una riflessione sui rapporti tra centro e periferia, quanto sulle molteplici strutture di potere con cui gli abitanti di queste ultime devono fare i conti nella loro lotta quotidiana per vivere una vita degna di questo nome. Tali film si prestano ad essere analizzati alla luce della rappresentazione dello spazio. In essi, infatti, si configurano diverse tipologie di spazio che possono essere affrontate attraverso gli strumenti critici di Gilles Deleuze, Félix Guattari e Michel Foucault. 

Ai primi si devono i concetti di “spazio liscio” e “spazio striato”, esposti a inizio degli anni Ottanta del secolo scorso in Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie [1]. Lo “spazio liscio” è quello del deserto, legato alla “macchina da guerra nomade”, lo “spazio striato”, invece, è proprio dell’organizzazione del potere della città e dell’apparato di Stato. 

Michel Foucault, invece, in una conferenza tenuta nel marzo del 1967 e pubblicata postuma nel 1984 con il titolo Des espaces autres [2], a fianco di “utopia” introduce il termine “eterotopia”. Quest’ultima, nell’ottica dello studioso, si configura come un luogo separato dal normale contesto quotidiano, «una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo» [3].

Alla luce dell’analisi dello spazio, anche i complessi residenziali delle banlieue si prestano a essere analizzati come eterotopie, veri e propri spazi separati dalla città. In questi luoghi strutturati secondo le regole del controllo reticolare, si sono nel tempo sedimentate sia forme di governance che di resistenza non pianificate. Lo spazio “striato”, segnato da canalizzazioni e percorsi obbligati dalle architetture pensate per controllare le periferie, ha dovuto fare i conti con continue infrazioni all’ordine pianificato sedimentando nel tempo nuove forme di disciplinamento spaziale e sociale ma anche spiragli di alterità nei confronti delle vecchie e delle nuove modalità di controllo. Saranno, come vedremo, soprattutto le componenti più giovani che abitano le periferie a palesare un’insofferenza che si manifesta tanto nei confronti del particolare tipo di ordine che vige nelle banlieue, quanto nei confronti del potere e dello spazio della città che li respinge. I film analizzati mostrano come contro entrambi questi tipi di disciplinamento i banlieusard più giovani sferrino il loro attacco frontale senza pensare al domani, condannati come sono a una guerra civile che vivono come un presente dilatato privo di sviluppi. 

I giovani abitanti delle periferie si configurano come una vera e propria “macchina da guerra nomade”, per utilizzare una definizione di Deleuze e Guattari, lanciata contro lo “spazio striato” della città. I giovani delle banlieue sono nomadi che diventano “vettori di deterritorializzazione”: il nomade, infatti, secondo i due studiosi francesi, «forma il deserto non meno di quanto il deserto formi lui. È vettore di deterritorializzazione. Aggiunge il deserto al deserto, la steppa alla steppa, con una serie di operazioni locali in cui l’orientamento e la direzione non smettono di variare» [4]. Per il nomade «è la deterritorializzazione a costituire il rapporto con la terra, cosicché egli si riterritorializza sulla deterritorializzazione stessa» [5]. I protagonisti dei film […] hanno un rapporto con la terra costruito su una deterritorializzazione continua: quello che è il loro territorio, le periferie, è costantemente colpito da un processo di deterritorializzazione imposto dall’alto. Ma è proprio nella deterritorializzazione, nell’assenza di territorio che essi marcano in modo significativo il loro territorio. Quanto più il loro spazio è “liscio”, quanto più esso è il ‘deserto’ solcato da lancinanti gorgoglii e da silenzi di distruzione, tanto più è un non territorio che costituisce l’habitat privilegiato per una territorializzazione. 

Vettori nomadi, macchine da guerra, i giovani delle periferie non conoscono la sedentaria blandizie della Ville Lumière, i viali striati, i boulevard e gli eleganti palazzi storici che si ergono come oscuri guardiani; non riescono a procedere incasellati in percorsi rigidi e obbligati. Essi sono gli abitatori di spazi in cui interstizi di deserto, fatto di terra e di campi incolti sparsi fra i caseggiati come sconosciuti banditi, si amalgamano agli edifici. Gli stessi caseggiati delle banlieue sono deserto, sono tutt’uno con le spazialità infinite che si diramano dintorno. Gli abitatori delle banlieue si perdono, quasi leopardianamente, nel “naufragio dolce” dell’infinito che circonda il loro habitat e segna, appunto con il timbro dell’apertura spaziale, quello che si configura come il loro territorio. Spostandosi, lo portano sempre con sé: essi stessi sono spazio aperto che divora. Come i “guerrieri della notte” dell’omonimo film di Walter Hill del 1979, essi compiono inenarrabili viaggi dal centro alla periferia. Il ritorno al territorio si configura come un ritorno all’infinito. Così, i “guerrieri”, dopo essersi compenetrati con lo spazio striato e infernale degli interstizi notturni di New York, ritornano al loro territorio, Coney Island. Quest’ultimo è uno schiaffo di luce e di mare, è un luogo fatto di orizzonti e di vento che veloce si leva: è il deserto luminoso che apre nuovi inconsolabili valichi.

Paolo Lago, Gioacchino Toni, Spazi contesi. Cinema e banlieue. L’odio, i miserabili, Athena, Le Milieu, 2024, p. 240, 16,90€

Viaggi di nomadi-ragazzi, di macchine da guerra sottoproletarie erano stati magistralmente rappresentati, sia nella narrativa che nel cinema, da Pier Paolo Pasolini con Ragazzi di vita (1955), Una vita violenta (1959), Accattone (1961), Mamma Roma (1962). I “ragazzi di vita” sono schegge impazzite nelle spazialità suburbane, viaggiatori dionisiaci che portano con sé l’idea stessa di lontananza dal centro, da qualsiasi centro. Essi vengono dai lisci deserti delle borgate in una Roma che lentamente si sta riprendendo dalle devastazioni della seconda guerra mondiale. Sono i diversi perché lontani, sono i non conformi alle regole della legge, della morale, del pensiero borghese dominante. Hanno impressa sui loro corpi la diversità e la lontananza a caratteri di fuoco, sono gli irrappresentabili di fronte all’occhio borghese. Non è un caso che Ragazzi di vita abbia provocato innumerevoli scandali e che lo stesso autore abbia subito diversi processi “per oscenità” [6]. Lo stesso Accattone è il diverso, proveniente dallo “spazio liscio”, che viene mostrato allo sguardo striato della borghesia. […]

Se trasponiamo l’universo sottoproletario romano degli anni Cinquanta e Sessanta negli anni Novanta, in cui L’Odio prende in esame l’universo sottoproletario delle banlieue parigine, ecco che potrebbero ugualmente valere le osservazioni pasoliniane. I parigini del centro non sanno nulla delle banlieue perché non le frequentano, in quanto sono considerate luoghi pericolosi. Gli abitanti delle periferie, di fronte all’occhio del borghese parigino, sono diversi, sconosciuti e stranieri, anche perché in gran parte si tratta di immigrati africani naturalizzati francesi. I giovani delle banlieue, quando vanno in città, non sono meno stranieri del dio Dioniso quando si presenta a Tebe, travestito da viaggiatore che giunge da un paese remoto nelle Baccanti di Euripide. Il re Penteo allora lo fa incarcerare per impedirgli di turbare l’ordine pubblico. Il sistema borghese che organizza lo “spazio striato”, appena i nomadi provenienti dallo “spazio liscio” si infiltrano nelle maglie del suo potere, li fa arrestare ed espellere perché sono pericolosi, perché possono portare nel centro il germe incontrollato del deserto. […] 

La questione del “diritto alla città” emerge prepotentemente nei film sulle periferie. [A tal proposito] vale la pena riprendere gli studi di Henri Lefebvre sullo spazio e sulla città […]. Nell’illustrare le trasformazioni dell’ambiente urbano, nel suo Le droit à la ville [7], pubblicato sul finire degli anni Sessanta, Lefebvre ha evidenziato come le grandi trasformazioni urbanistiche dell’epoca, pur avendo migliorato le condizioni di vita di alcune zone cittadine, abbiano fatto perdere alla città il suo storico significato legato all’uso: anziché essere costruita e gestita secondo il suo valore d’uso, la città ha finito per essere pianificata e trasformata in base al suo valore di scambio.  

Lo studio intrapreso con Le droit à la ville è proseguito nei successivi La revolution urbaine [8] e La production de l’espace [9], ove il sociologo ha esplicitato compiutamente una visione dello spazio come intrinsecamente politico in quanto continuamente e costitutivamente composto e attraversato dalle diverse strategie e pratiche dei gruppi sociali che lo abitano. In questo ultimo libro, nel formulare la “dialettica triplice dello spazio”, utile a decifrare gli spazi sociali, Lefebvre ha distinto uno “spazio concepito”, uno “vissuto” e uno “percepito”, indicando nel primo lo spazio ordinante la società, teso a rafforzare il controllo egemonico attraverso aspettative e regole imposte dall’alto. 

I valori urbani, come puntualizza lo studioso in Le droit à la ville, tendono a essere concepiti in modo esclusivo anziché inclusivo e a privilegiare il valore di scambio. Ciò significa che chi viene “da fuori” città, da un ambiente periferico – rurale o urbano che sia – tende a essere ostracizzato: non ha il diritto di negoziare le regole della città imposte da un potere che assegna il primato assoluto al mercato, dunque, nei fatti, chi vi mette piede non ha il diritto di abitarla e viverla.

Agli occhi di Lefebvre Parigi testimonia con grande evidenza l’intrecciarsi delle trasformazioni dello spazio urbano e delle sue architetture con i conflitti di classe sin dall’avvio dell’ottocentesca opera di riformulazione cittadina intrapresa da Haussmann il cui vero scopo, avrà modo di commentare efficacemente Walter Benjamin, «era di garantire la città dalla guerra civile. Egli voleva rendere impossibile per sempre l’erezione di barricate» [10]; non a caso l’operazione venne definita all’epoca embellissment strategique. […]

Il diritto alla città lefebvriano si pone come «esercizio pratico dell’agire politico», come «rovesciamento della città come “merce” da parte di chi è escluso, oppresso, e la dialettica ricostruzione di un essere-in-comune della polis come “opera” di coloro i quali la abitano» [11]. Del resto, scrive Lefebvre, «lo Stato, i centri decisionali e i poteri ideologici, economici e politici non possono che considerare con crescente diffidenza una forma sociale che tende all’autonomia, che può vivere solo specificamente, che si frappone tra loro e l’“abitante”». Agli occhi del potere, la città «appare piena di attività sospette, ribolle di delinquenza; è un focolaio di agitazioni. Il potere dello Stato e i grandi interessi economici possono immaginare una sola strategia: svalutare, degradare, distruggere la società urbana» [12].

di Paolo Lago e Gioacchino Toni

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[1] G. Deleuze, F. Guattari, Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Les Édition de Minuit, Paris 1980, tr. it. di G. Passerone, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010, pp. 451-458. 

[2] Cfr. M. Foucault, Des espaces autres (Conference au Cercle d’etudes architecturales, 14 mars 1967), in “Architecture, Mouvement, Continuite”, n. 5, octobre 1984, pp. 46-49, tr. it. di S. Loriga, Eterotopie, in Id., Estetica dell’esistenza, etica, politica. Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, Feltrinelli, Milano 2020.

[3] Ivi, p. 311.

[4] G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani, cit., p. 453.

[5] Ibid.

[6] Cfr. L. Betti, a cura di, Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Comitato promotore: F. Bandini [et al.]Garzanti, Milano 1977.

[7] Cfr. H. Lefebvre, Le droit à la ville, Anthropos, Paris 1968, tr. it. di G. Morosato, Il diritto alla città, Ombre Corte, Verona 2014. 

[8] Cfr. H. Lefebvre, La révolution urbaine, Gallimard, Paris, 1970, tr. it. di A. Gioia, La rivoluzione urbana, Armando Editore, Roma 1973.

[9] Cfr. H. Lefebvre, La production de l’espace, Anthropos, Paris 1974, tr. it. di L. Ricci, La produzione dello spazio, Pgreco, Milano 2018.

[10] W. Benjamin, Parigi, capitale del XIX secolo. Progetti appunti e materiali 1927-1940, G. Agamben, a cura di, tr. it. di G. Carchia, M. De Carolis, A. Moscati, F. Porzio, G. Russo, R. Solmi, Torino, Giulio Einaudi Editore, Torino 1986, pp. 16-17.

[11] Ibid

[12] H. Lefebvre, Il diritto alla città, cit., pp. 79-82.


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