Le conseguenze sottovalutate del Progetto Manhattan

Oltre la vicenda personale di Oppenheimer su cui si è soffermato Christopher Nolan nel sul ultimo film, Jean-Marc Royer ha tracciato un resoconto rigoroso del programma segreto che coinvolse il fisico statunitense. Su Scenari, un estratto di Il mondo come Progetto Manhattan. Dai laboratori nucleari alla guerra generalizzata alla vita.

“L’energia atomica rivoluzionerà la nostra civiltà?” 

Il Progetto Manhattan ha rappresentato certamente un’innovazione unica nella storia scientifica, militare e industriale moderna, dal momento che si è basato su una “strategia parallela” che prevedeva la scienza pura e lo sviluppo di diversi processi produttivi utilizzando tutte le tecnologie esistenti (compreso il computer), l’industrializzazione attraverso la costruzione di impianti giganteschi, il costante adattamento delle modalità organizzative e, per finire, la costruzione di nuove città per ospitare una forza lavoro segregata. Lillian Hoddeson ha dimostrato che i contributi del Progetto Manhattan hanno coperto l’intero spettro delle ricerche scientifiche e della tecnologia e hanno dato origine a una generazione di nuove armi: 

“I contributi tecnologici del Progetto Manhattan furono utili a tutte le scienze e tecnologie, dalla chimica alla fisica alla microelettronica […]: sono state delineate le proprietà fondamentali del plutonio, […] sono state scoperte le proprietà fondamentali di molti esplosivi, ecc. Sono stati osservati nuovi fenomeni, […] ad esempio, nel processo di fissione – questo vale soprattutto per i livelli di energia più elevati. Le informazioni elaborate al MIT hanno portato a miglioramenti nello sviluppo di amplificatori e circuiti integrati. Los Alamos ha contribuito a trasformare la nuova tecnologia dell’elettronica; […] E. MacMillan ha sancito una pietra miliare nella storia degli acceleratori con la sua invenzione del principio della fase stabile, uno sviluppo senza il quale non sarebbe stato possibile, nel dopoguerra, costruire i più potenti acceleratori circolari. Il potenziale del computer per risolvere problemi molto complessi, ad esempio quelli dell’idrodinamica dell’implosione, è stato notevolmente incrementato dalla divisione computer dell’IBM; diversi teorici di Los Alamos, tra cui N. Metropolis è il più noto, hanno partecipato allo sviluppo dei computer nel dopoguerra. Alcuni dei materiali resi disponibili dal Progetto Manhattan ebbero ripercussioni inaspettate nel dopoguerra. […] Lo sviluppo degli isotopi puri, ad esempio, ha reso possibile la scoperta cruciale di E. Maxwell e B. Serin negli anni ’50 dell’“effetto isotopo” nei superconduttori. Questa scoperta ha permesso a J. Barden di elaborare la teoria microscopica della superconduttività […]. Ognuno di questi importanti impatti sulla ricerca del dopoguerra ha una sua propria storia, che riflette l’influenza del lavoro di Los Alamos che contribuì a plasmare il corso della scienza moderna. Il Progetto Manhattan ha ugualmente giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo dei missili balistici intercontinentali Atlas e Polaris.” [1]

Occorre sottolineare la natura polimorfa del Progetto Manhattan, che comprendeva la creazione di processi industriali, nuovi elementi e materiali (materiali fissili e radioelementi), diverse generazioni di nuove armi [2], uno sviluppo senza precedenti di conoscenze tecniche e scientifiche, una nuova gestione dei progetti, la creazione di un’industria nucleare da zero e, infine, la definizione dei complessi scientifici-militari-industriali nazionali. 

L’affermazione dei Complessi [3]: una rottura storica e una rivoluzione della civilizzazione 

La realizzazione della bomba atomica fu il risultato della “triplice alleanza” tra scienza, industria e apparato statale che la Prima guerra mondiale aveva suggellato. La Seconda guerra mondiale portò a una maggiore cooperazione tripartita tra il governo federale – in primo luogo il Ministero della Difesa –, gli industriali e i laboratori scientifici delle principali università. Ma questo sistema tripartito non era assolutamente nuovo: era stato introdotto durante la Prima guerra mondiale, quando chimici, fisici e ingegneri erano stati arruolati nello sforzo bellico attraverso il National Research Council, creato nel 1915 su iniziativa dell’Accademia delle Scienze, e nel quale lo Stato aveva assunto l’organizzazione dei trasporti e della produzione industriale [4]. 

Ma nel novembre del 1945 si tenne a New York un simposio per scienziati, industriali, finanzieri e politici. Il titolo era appropriato: Will atomic energy revolutionize our civilisation? (L’energia atomica rivoluzionerà la nostra civilizzazione?). Groves era presente con tutti i leader delle aziende che parteciparono al Progetto Manhattan: Monsanto (che iniziava a produrre erbicidi), Union Carbide, Kellogg, General Electric, Chrysler, Westinghouse (che dominerà l’industria nucleare). Nessun altro risultato della guerra avrebbe dato luogo a una tale “rivoluzione”, per usare le parole dell’incontro. 

Un’altra conseguenza: alla fine degli anni ’50, l’industria chimica era già dominata dai quattro grandi gruppi (DuPont de Nemours, Monsanto, Union Carbide, Dow Chemical) che avevano partecipato al Progetto Manhattan. Quest’ultimo può essere descritto come un progetto faraonico, sia per le ambizioni, sia per le strutture, sia per il numero di persone che vi hanno partecipato, sia infine per l’energia che vi è stata dedicata, soprattutto se si considera quanto fosse difficile, al momento del lancio, sapere se avrebbe portato a un risultato concreto [5]. 

Per tutti questi motivi, è legittimo sostenere che il Progetto Manhattan non fu solo la matrice organizzativa e politica dei cosiddetti problemi complessi. Se, dopo Clausewitz, si riteneva che la guerra fosse la continuazione della politica con altri mezzi, il complesso scientifico-militare-industriale, imponendo il rovesciamento di questo aforisma, ha completato lo sconvolgimento di civiltà iniziato intorno al 1850 in Occidente: dopo la Seconda guerra mondiale, la politica e l’economia sono diventate la prosecuzione della guerra alla vita con altri mezzi. Nel resto del libro, naturalmente, svilupperemo in modo approfondito questo punto, poiché si tratta di una rottura storica fondamentale. Ma per il momento fermiamoci e guardiamo più da vicino la cosiddetta conquista dello spazio, doppiamente dipendente dal Progetto Manhattan. 

Un piccolo passo per l’uomo, un passo da gigante per l’umanità… e un enorme passo indietro per il nostro mondo 

Tutti coloro che di solito si affrettano a magnificare le conquiste tecniche e scientifiche (o a ridurre le questioni umane al “fabbisogno energetico”) dimenticano di porsi una piccola domanda che potrebbe essere imbarazzante e macchiare il quadro idilliaco della “conquista dello spazio”. Si tratta del plutonio 238, potente emettitore di radiazioni α, che lo rende di gran lunga l’isotopo più utilizzato nei generatori di calore ed energia a radioisotopi (RTG) che alimentano le sonde spaziali e altre apparecchiature ad alta tecnologia che richiedono una fonte di energia affidabile e priva di manutenzione. Questi generatori consentono alle apparecchiature poste sulla superficie dei pianeti di funzionare di notte quando i pannelli solari sono fuori uso, come nel caso dei sei Apollo Lunar Surface Experiments Packages lanciati sulla Luna e delle sonde Viking 1 e 2 su Marte. La missione New Horizons, lanciata il 19 gennaio del 2006, e giunta su Plutone il 14 luglio 2015, trasportava quasi 8 chilogrammi di plutonio [6]. 

Questo ci porta a porre alcune domande che non sono mai state affrontate prima: in circostanze normali, qual è la radioattività di queste sorgenti? Tenuto conto delle leghe, che sono soggette a condizioni estreme (sulla Luna c’è una differenza di temperatura di 300 gradi tra il giorno e la notte), quanto durerà l’incapsulamento metallico del plutonio prima che questo “rilasci” tutta la sua radioattività sul suolo dei pianeti “conquistati dall’uomo”? È così che si cerca la vita nello spazio, introducendo la morte, la “conquista” della Luna è in effetti la conquista di un deposito di scorie nucleari: un piccolo dettaglio che ancora oggi viene ignorato… anche dagli storici della scienza. 

La giustificazione iniziale del Progetto Manhattan 

Il Progetto Manhattan fu inizialmente giustificato dal timore che i nazisti sviluppassero per primi l’arma atomica. I lettori si saranno fatti un’idea delle enormi risorse necessarie agli Stati Uniti per crearla, per non parlare delle difficoltà che avrebbero potuto ritardarne lo sviluppo e quindi impedirne l’utilizzo. Come abbiamo visto, furono i nuovi metodi utilizzati a rendere possibile il “successo”: secondo Harry Thayer, “se il progetto fosse stato portato avanti nel modo tradizionale, razionale e sequenziale, invece che con i metodi utilizzati all’epoca, il plutonio non sarebbe stato pronto prima del maggio 1948, quasi tre anni dopo il suo effettivo completamento…, e non prima di altri dodici anni in base a metodi usuali in tempo di pace! Invece, DuPont impiegò ventitré mesi per spedire il nuovo elemento a Los Alamos” [7]. È necessario, inoltre, ricordare i fattori “esogeni” che hanno permesso al Progetto Manhattan di concludersi nell’estate del 1945: la lettera di Albert Einstein a Roosevelt ha contribuito molto a rendere la ricerca atomica una priorità politica; le 1.200 tonnellate di minerale di uranio molto ricco stoccate a Staten Island e altre 1.000 tonnellate riservate in Africa; il rapporto britannico Maud inviato agli Stati Uniti nell’estate del 1941 e la decisione del Regno Unito di cooperare pienamente con il Progetto Manhattan alla fine del 1943; infine, la presenza di tutti quegli scienziati europei di alto livello che, di fronte al pericolo nazista, furono costretti all’esilio negli Stati Uniti. 

Le ricerche sul nucleare nella Germania nazista erano sparse e non coordinate; non costituivano una priorità politica e mancavano le risorse [8]. Il Paese era in guerra dal 1938; dal giugno del 1941 aveva aperto il fronte russo e le sue perdite stavano diventando significative. Gli storici collocano il punto di svolta della guerra tra il novembre del 1942 e l’estate del 1943. Nel 1944, i colossali fronti a est, sud e ovest cominciavano a impiegare le ultime forze rimaste: il Paese faticava a provvedere al fabbisogno della popolazione civile e a quello del suo esercito e i bombardamenti incessanti lo stavano sconvolgendo. L’industria tedesca era rivolta alla soddisfazione di bisogni immediati e impellenti. I servizi segreti alleati sapevano, a quel tempo, che i nazisti non erano più in grado di realizzare un progetto di bomba atomica [9]. Sin dall’estate del 1944 la ritirata nazista e la sconfitta tedesca erano ormai inevitabili. Per queste numerose ragioni, la letteratura e gli articoli sensazionalistici pubblicati nel 2013, che suggeriscono che Hitler fosse vicino a possedere la bomba atomica, dimostrano una grave mancanza di conoscenza dello stato reale delle cose [10]. Peggio ancora, ci si potrebbe chiedere se non si tratti di un ultimo tentativo di giustificare il Progetto Manhattan, cosa che oggi non dispiacerebbe alla comunità nucleare internazionale [11]. Ma lasciamo da parte queste speculazioni, che la televisione non ha tardato a onorare nei suoi programmi [12]. 

Jean-Marc Royer, Il mondo come progetto Manhattan (Mimesis Edizioni, 312 pag., 20€, 2023)

Cos’è rimasto di queste giustificazioni nel 1944? 

Il documentario canadese Un rêve étrange [13] ci fornisce una preziosa testimonianza diretta di Józef Rotblat, fisico impegnato a Los Alamos fino al 1944. Rotblat afferma che nel ’44, durante un dopocena, solitamente offerto da Groves agli scienziati di alto livello impiegati, chiese al britannico James Chadwick [14]“se avesse capito che lo scopo fondamentale del Progetto Manhattan era quello di contenere i sovietici”. Così facendo, egli designava già i sovietici come unico nemico, cosa che sconvolse Rotblat al punto da ricordarsene molto tempo dopo, quando ormai tutti sapevano che il tributo più pesante contro gli eserciti del Reich era stato pagato dai soldati russi sull’immenso fronte orientale e a Stalingrado (dove vi furono più di 26 milioni di morti in totale). Fu questo episodio che convinse Rotblat a cessare la sua collaborazione al Progetto Manhattan e a tornarsene, da solo, in Gran Bretagna [15]. 

Possiamo dedurre, da quanto appena osservato (cosa che, per quanto ne sappiamo, non è riportata chiaramente da nessuna parte nella storia del Progetto Manhattan), che almeno a partire dall’agosto del 1944, tutti gli scienziati di Los Alamos sapevano di non lavorare più contro i nazisti, ma contro i sovietici, e soprattutto con l’obiettivo di imporre il potere politico degli Stati Uniti sul resto del mondo; tutti i migliori scienziati, senza eccezioni, dal momento che è impossibile fermare la circolazione di tali informazioni in un microcosmo chiuso. Questo getta una nuova luce sul ruolo degli scienziati e dei leader politici e militari: essi collaborarono consapevolmente al primo atto della Guerra fredda e a un crimine di massa – torneremo più avanti sulla qualificazione di quest’ultima osservazione. È quindi importante chiedersi come “ci sono arrivati”. 

Il microcosmo di Los Alamos e l’immaginario dei suoi protagonisti 

Pensiamo a coloro che, soprattutto a Los Alamos, hanno accettato di vivere in città segrete, sotto la discreta sorveglianza dell’esercito e di altri servizi speciali, con l’obbligo di portare sempre dei distintivi visibili, come animali addomesticati, per essere identificati in qualsiasi momento o per tracciare il loro destino. A chi si è rassegnato a vivere in un insieme di baracche prefabbricate e a educare i propri figli in questo microcosmo artificiale, tra un torneo di baseball e la gita del fine settimana alla “Big House” del campo. A quegli scienziati di spicco che si sono dedicati alla guerra radicale e al perfezionamento di tecniche di distruzione di massa che sapevano sarebbero state usate contro popolazioni civili. Com’è possibile che tutti abbiano accettato di collaborare dando anima e corpo? Perché, a differenza di Józef Rotblat, non hanno mai smesso di fare il “lavoro sporco” che avrebbe macchiato di sangue le loro mani, sporcato le loro coscienze per sempre e portato il mondo sull’orlo del baratro? 

Hannah Arendt e Günther Anders hanno attirato la nostra attenzione su ciò che la divisione del lavoro [16] parcellizzato comporta, ovvero l’irresponsabilità degli “agenti” del processo produttivo. Ma si tratta di “condizioni oggettive” che vengono meno rispetto ai progetti scientifici e non rendono conto della forza delle determinazioni intime necessarie per superare alcuni divieti, in particolare quello dell’omicidio di massa. Tuttavia, in tutti i racconti dei ricordi di Los Alamos, c’è la sensazione di aver vissuto un’esperienza “esaltante”, fuori dall’ordinario, in un ambiente altamente integrato, molto elitario, al servizio di un obiettivo superiore – in questo caso, far arretrare le frontiere dell’ignoranza –, una ricerca la cui forte astrazione permette la repressione del crimine concreto che si stava sviluppando. 

E sebbene all’inizio del progetto fossero convinti di servire una “nobile causa”, nel 1944 tutti gli scienziati del campo avevano capito perfettamente che stavano servendo il desiderio di egemonia mondiale di un solo Paese. Naturalmente, particolari determinanti storico-sociali possono spiegare in parte il comportamento di ciascuno di essi. Certo, vi erano anche fattori più intimi, ma per portare a termine questo progetto di morte era necessario non solo che la devozione (la lealtà, la fedeltà, il senso di appartenenza a una comunità scelta) si articolasse in un riferimento superiore (la Nazione in guerra, la Patria in pericolo), ma anche che questi uomini fossero guidati, spinti, da qualcosa che desse loro la forza di sollevare le immani difficoltà incontrate nel corso del progetto (e ce ne furono appunto molte). Questo tour de force è stato possibile solo mobilitando qualcosa di più profondo e potente, che risiede in ogni essere umano, nella sua immaginazione, e che diventa capace di scuotere il mondo in pochi giorni quando si struttura intorno a un ideale o a un valore universale. Ciò che resta da capire è la natura di questa immaginazione. 

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[1] Lillian Hoddeson, citata da Sylvain Lenfle, Proceeding in the dark, cit., pp. 47-48. 

[2] Le bombe atomiche statunitensi sono diventate sempre più sofisticate e potenti. Nel novembre del 1952, la Mark 18 Super Alloy aveva una potenza di 500 chilotoni, venticinque volte più potente della bomba di Nagasaki. Si veda David Rosenberg, The Origins of Overkill. Nuclear Weapons and American Strategy, 1945-1960, “International Security”, vol. 7, 1983, pp. 3-71 (citato in Sylvain Lenfle, Proceeding in the dark, cit., p. 47).

[3] Da qui in avanti, con il termine Complessi – con la C mausciola – si intende il sistema dei complessi scientifici-militari-industriali nazionali.

[4]Pap Ndiaye, “Du nylon et des bombes…”, art. cit., pp. 53-73.

[5] Barthélémy Courmont, Pourquoi Hiroshima ? La décision d’utiliser la bombe atomique, L’Harmattan, Parigi 2007, p. 369. Traiamo molti riferimenti da questo libro, che è il risultato di una tesi molto ben documentata nonostante alcuni errori di dettaglio. Inoltre, soffre della mancanza di una prospettiva critica che lo rende scientificamente sterile. 

[6]Una dozzina di microgrammi sono sufficienti a causare la morte di qualsiasi essere vivente. 

[7] Harry Thayer, Management of the Hanford Engineer Works In World War II…, op. cit, pp. 45-46.

[8] Nel 1942, i finanziamenti per la bomba tedesca furono notevolmente tagliati da Albert Speer, appena nominato Ministro della Pianificazione e dell’Economia di Guerra.

[9]  Non si tratta di una “bomba sporca”, che è molto più facile da costruire di una bomba atomica.

[10] Rispetto a questo si veda l’articolo di Alexandre Dorozinsky, Pourquoi Hitler n’a pas eu la bombe atomique, “Science et Vie”, n. 915, dicembre 1993, che, nonostante alcune imperfezioni, è da considerare.

[11]Vale a dire, tutte le istituzioni che forniscono supporto diretto o indiretto al nucleare.

[12] Si veda per esempio: Histoire : Hitler et la bombe atomique, documentario televisivo di 20 ore, France 2, 14 aprile 2014 (consultabile al link www.francetvinfo.fr/histoire-hitler-et-la-bombeatomique_577145.html).

[13] Un rêve étrange, d’Éric Bednarski (2008), 22° minuto. Questo film è incentrato sull’associazione Pugwash e sulla vita di Józef Rotblat.

[14] Chadwick e Rotblat si conoscevano perché entrambi erano stati coinvolti nel progetto britannico Maud.

[15] Dopo la sua partenza da Los Alamos, Rotblat fu oggetto di un rocambolesco dossier messo insieme dall’FBI, che lo accusò di voler dirottare un aereo. Tutti i suoi effetti personali erano scomparsi al suo arrivo a Londra: l’obiettivo era quello di assicurarsi che non trasmettesse alcun segreto ai sovietici attraverso la sua famiglia rimasta in Polonia.

[16] Diamo a questa espressione un significato aggiuntivo, più ampio della sua definizione sociologica, quello di “dissociare il soggetto” in modo che acquisisca una posizione perversa (che era quella di Eichmann), ovvero: abbandonarsi alle peggiori atrocità pretendendo di non avervi contribuito, e quindi negando razionalmente di averle commesse. 


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