Quali sono i processi che hanno reso possibile il progressivo addomesticamento delle donne? E come si relazionano con la repressione sessuale femminile del XVI e il XVII secolo? Oggi su Scenari un estratto di Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria di Silvia Federici.
La politica sessuale che ha informato la caccia alle streghe appare evidente nel rapporto tra la strega e il diavolo, una delle novità introdotte dai processi del XVI e XVII secolo. La grande caccia alle streghe segnò un cambiamento nell’immagine del diavolo, rispetto a quella che si trova nelle vite dei santi del Medioevo o nei libri dei maghi del Rinascimento. Nelle prime, il diavolo veniva raffigurato come una creatura maligna, ma con poco potere – un po’ di acqua santa e qualche parola sacra bastavano a sconfiggerne le trame. La sua figura era quella di un malfattore senza successo che, lungi dall’ispirare orrore, poteva avere qualche virtù. Il diavolo del Medioevo era un essere logico, competente in materia legale, descritto a volte nell’atto di difendere la sua causa davanti a una corte di giustizia (Seligmann 2010, pp. 190-199) [1]. Era anche un abile operaio, che poteva essere impiegato per scavare gallerie o costruire le mura delle città, sebbene fosse sempre gabbato al momento della ricompensa. Anche la visione rinascimentale del rapporto tra il diavolo e il mago raffigura sempre il diavolo come un subordinato cui vengono assegnati dei compiti che deve adempiere che lo voglia o meno, come un servo, obbligato a comportarsi secondo la volontà del padrone.
Con la caccia alle streghe il rapporto di potere tra il diavolo e la strega si capovolge. Adesso è la donna a farsi serva, schiava, “succube” nel corpo e nell’anima, mentre il diavolo agisce da signore e padrone, allo stesso tempo magnaccia e marito. Era il diavolo, ad esempio, che “si avvicinava alla strega designata. Raramente era lei a invocarlo” (Larner 1981, p. 148). Dopo che le si era manifestato le chiedeva di diventare sua serva, promettendole in cambio benefici economici, e ciò che ne seguiva era un classico esempio del rapporto tra schiavo e padrone e tra marito e moglie. La marchiava con il suo segno, aveva con lei rapporti sessuali e in alcuni casi le cambiava perfino il nome (ibid.). Inoltre, prefigurando il nuovo destino matrimoniale delle donne, la caccia alle streghe proponeva un solo diavolo al posto della miriade di demoni che popolavano il mondo medioevale e rinascimentale, e inoltre un diavolo maschio al posto delle figure femminili (Diana, Era, la “Signora del zogo”) i cui culti erano diffusi tra le donne nel Medioevo sia nelle regioni mediterranee che in quelle teutoniche.
Fino a che punto i cacciatori di streghe si preoccupassero di affermare la supremazia maschile lo si deduce dal fatto che, persino quando in rivolta contro la legge umana e divina, le donne dovevano essere raffigurate come subordinate all’uomo, e l’apice della loro ribellione – il famigerato patto col diavolo – doveva essere rappresentato come un perverso contratto matrimoniale. L’analogia matrimoniale era perseguita al punto che le streghe confessavano che “non osavano disobbedire al diavolo” o, più stranamente, che non provavano alcun piacere a copulare con lui, una contraddizione rispetto all’ideologia della caccia alle streghe che faceva derivare la stregoneria dall’insaziabile lussuria delle donne.
La caccia alle streghe non solo santificò la supremazia maschile, ma istigò gli uomini a temere le donne, e perfino a considerarle la rovina del sesso maschile. Le donne, predicavano gli autori del Malleus maleficarum, sono belle a vedersi ma se le tocchi ti contaminano; attraggono gli uomini solo per renderli deboli; fanno qualsiasi cosa per compiacerli, ma il piacere che danno è più amaro della morte, perché i loro vizi costano agli uomini la perdita dell’anima – e forse anche quella dei loro organi genitali (Kors e Peters 1972, pp. 114-115). La strega in teoria poteva castrare gli uomini o renderli impotenti, sia congelandone la potenza generativa, sia comandando al loro pene di uscire o ritrarsi secondo il proprio desiderio [2]. Alcune rubavano gli organi genitali maschili per nasconderli in nidi d’uccello o in scatole fino a quando, con la forza, erano costrette a restituirli ai proprietari [3].
Ma chi erano queste malefiche che castravano gli uomini o li rendevano impotenti? Potenzialmente tutte le donne. In un villaggio o in una piccola città di qualche migliaio di persone, dove, all’apice della caccia alle streghe, dozzine di donne furono bruciate nel giro di pochi anni o poche settimane, nessun uomo poteva sentirsi al sicuro ed essere certo di non vivere con una strega. Molti si devono essere impauriti sentendo che di notte certe donne lasciavano il letto matrimoniale per andare al sabba, ingannando i mariti addormentati mettendo un bastone al loro fianco; o che le donne avevano il potere di far scomparire i loro peni, proprio come la strega menzionata nel Malleus, che ne aveva nascosti a dozzine in un albero.
Che questa propaganda sia riuscita a dividere le donne dagli uomini lo dimostra il fatto che, a parte singoli tentativi da parte di figli, mariti o padri di salvare le proprie parenti dal rogo, non c’è traccia di organizzazioni maschili che si siano opposte a questa persecuzione. L’unica eccezione è quella dei pescatori del villaggio basco di St. Jean-de-Luz, dove nel 1609 il magistrato francese Pierre Lancre condusse processi di massa che portarono al rogo quasi seicento donne. Mark Kurlansky scrive che, quando Lancre dette inizio agli arresti, i pescatori erano via, impegnati nell’annuale pesca del merluzzo. Ma,
[quando agli uomini] della flotta del merluzzo di St. Jean-de-Luz, una delle più grandi [della regione basca], giunse voce che le loro mogli, madri e figlie [erano state] denudate, seviziate e molte già giustiziate, la pesca del merluzzo del 1609 terminò con due mesi di anticipo. I pescatori ritornarono e, bastoni alla mano, liberarono un convoglio di streghe diretto al luogo del supplizio. Questa resistenza popolare fu sufficiente a fermare i processi … (Kurlansky 2001, p. 102)
L’intervento dei pescatori baschi contro la persecuzione delle loro parenti fu un evento unico. Nessun altro gruppo o organizzazione si sollevò in difesa delle streghe. Sappiamo invece che alcuni uomini fecero un commercio della denuncia, proclamandosi “scovatori di streghe”, andando di villaggio in villaggio, minacciando le donne di fare il loro nome se non li avessero pagati. Altri approfittarono del clima di sospetto che circondava le donne per liberarsi di mogli e amanti non desiderate, o per evitare la vendetta di donne che avevano violentato o sedotto. È plausibile che l’assenza di una protesta maschile contro le atrocità a cui furono sottoposte le donne fosse spesso motivata dal timore di essere coinvolti nelle accuse, considerato che la maggior parte dei processati per stregoneria erano parenti di streghe sospettate o condannate. Ma è indubbio che anni di propaganda e di terrore abbiano prodotto negli uomini un profondo distacco psicologico dalle donne, che ha distrutto la solidarietà di classe e minato il loro stesso potere collettivo. Giustamente Marvin Harris afferma che:
La caccia alle streghe … ha disperso e frammentato tutte le energie latenti della protesta. Ha fatto sentire tutti impotenti e perciò dipendenti dai gruppi sociali dominanti, e ha fornito inoltre uno sfogo a portata di mano alla loro frustrazione. Ha impedito ai poveri, più che a ogni altro gruppo sociale, di affrontare le autorità ecclesiastiche e l’ordine costituito per far valere le loro ragioni riguardo alla ridistribuzione della ricchezza e al livellamento delle posizioni sociali (Harris 1974, pp. 239-240).
Allora come oggi, è reprimendo le donne che le classi dominanti hanno represso con maggior efficacia l’intero proletariato. Hanno istigato uomini espropriati, impoveriti e criminalizzati a sfogare le loro sventure personali sulle streghe castratrici e a considerare il potere che le donne avevano guadagnato contro le autorità, come un potere che avrebbero usato contro di loro. Tutte le paure più profonde nutrite dagli uomini nei confronti delle donne (dovute in gran parte alla propaganda misogina della chiesa) sono state mobilitate a questo scopo. Non solo le donne furono accusate di rendere gli uomini impotenti; anche la loro sessualità dovette essere tramutata in una cosa temibile, una forza pericolosa e demoniaca, dato che agli uomini si insegnava che la strega poteva renderli schiavi e ridurli alla sua mercé (Kors e Peters 1972, pp. 130-132).
Un’accusa ricorrente del processo per stregoneria è che le streghe esercitavano pratiche sessuali snaturate, centrate sulla copulazione con il demonio e sulla partecipazione alle orge che si diceva avessero luogo al sabba. Ma le streghe furono anche accusate di suscitare negli uomini una passione incontrollata: era quindi facile per gli uomini colti in relazioni illecite dichiarare che erano stati stregati, o per una famiglia che volesse porre fine alla relazione del figlio con una donna non gradita, accusarla di essere una strega. Scriveva il Malleus:
[ci sono] … sette metodi per colpire con stregonerie di vario tipo l’atto venereo e il feto concepito nell’utero: il primo si compie spingendo l’animo degli uomini a un amore disordinato, il secondo, bloccando la loro forza generativa, il terzo portando via il membro che serve a tale atto, il quarto trasformando gli uomini in forme bestiali con l’arte dei prodigi, il quinto compromettendo la forza generativa delle donne, il sesto procurando l’aborto, il settimo offrendo i bambini ai diavoli … (Kramer e Sprenger 2006, pp. 95-96).
Che le streghe fossero accusate sia di rendere gli uomini impotenti, sia di accendere in loro un eccessivo desiderio sessuale è solo in apparenza una contraddizione. Nel nuovo ordine patriarcale che si stava diffondendo in concomitanza alla caccia alle streghe, l’impotenza fisica era la controparte dell’impotenza morale, era cioè la manifestazione fisica dell’erosione dell’autorità maschile sulle donne, perché da un punto di vista “funzionale” non c’era differenza tra un uomo castrato e uno perdutamente innamorato. I demonologi guardavano con sospetto a entrambe le condizioni, chiaramente convinti che sarebbe stato impossibile realizzare quel tipo di famiglia che l’accortezza borghese reclamava – modellata sullo stato, con il marito sovrano e la moglie suddita del suo potere, votata anima e corpo alla gestione della casa (Schochet 1975) – se le donne con il loro “fascino” e i loro filtri d’amore fossero state in grado di esercitare sugli uomini un tale potere da renderli “succubi” dei propri desideri.
La passione sessuale minava non solo l’autorità maschile sulle donne – come ammoniva Montaigne, l’uomo può mantenere un decoro in ogni cosa, eccetto che nell’atto sessuale (Easlea 1980, p. 243) – ma anche la possibilità dell’uomo di autogovernarsi, facendogli perdere quella preziosa testa in cui la filosofia di Descartes collocava la fonte della ragione. Una donna sessualmente attiva era quindi un pericolo pubblico, una minaccia all’ordine sociale in quanto sovvertiva il senso di responsabilità dell’uomo e ne minava la capacità di lavorare e di controllarsi. Se si doveva impedire alle donne di rovinare gli uomini moralmente – e cosa ancor più importante, finanziariamente – allora la sessualità femminile doveva essere esorcizzata. E fu fatto con la tortura, con i roghi, oltre che con i meticolosi interrogatori a cui le accusate venivano sottoposte, che erano un misto di esorcismo sessuale e stupro psicologico [4].
Per le donne, il XVI e il XVII secolo hanno inaugurato un’era di repressione sessuale. Censure e divieti hanno ridefinito il rapporto con la sessualità. Alla luce della critica di Foucault all’“ipotesi della repressione” (Foucault 1997, pp. 19-48) ciò deve essere ribadito. Dobbiamo anche ribadire che non sono la pastorale cattolica e la confessione che più ci dimostrano come, all’inizio dell’era moderna, il “potere” impose alle gente l’obbligo di parlare di sesso (ivi, pp. 25-26). L’“esplosione del discorso” sul sesso, che Foucault rileva in questo periodo, in nessun luogo fu realizzata con più veemenza che nelle camere di tortura della caccia alle streghe. Ma fu tutta un’altra cosa dalla reciproca eccitazione che Foucault immagina fluire tra la donna e il suo confessore. Superando di gran lunga la curiosità di qualsiasi confessore, gli inquisitori costringevano le streghe a rivelare le loro avventure sessuali nei minimi dettagli, non frenati nemmeno dal fatto che spesso si trattava di vecchie i cui presunti exploit sessuali risalivano a parecchi decenni prima. In maniera quasi rituale obbligavano le accusate di stregoneria a spiegare come, quando ancora giovani, erano state prese per la prima volta dal diavolo, che cosa avevano provato durante la penetrazione, a quali pensieri impuri si erano lasciate andare.

Ma il palcoscenico su cui si svolgeva questo insolito discorso sessuale era la camera di tortura, e le domande venivano poste tra un’applicazione e l’altra dello strappado (la tortura della corda) a donne che impazzivano dal dolore, per cui ci è impossibile pensare che l’orgia di parole che le donne così martoriate erano costrette a pronunciare potesse accrescere il loro piacere o riorientare, tramite la sublimazione verbale, il loro desiderio. Nel caso della caccia alle streghe – su cui Foucault stranamente sorvola nella sua Storia della sessualità (vol. I, 1976) – l’“incessante discorso sul sesso” non costituì un’alternativa alla repressione, al controllo, al divieto, ma ne fu direttamente al servizio. Si può senz’altro affermare che il lessico della caccia alle streghe “produsse” la Donna come una specie diversa, un essere sui generis, più carnale, e perversa per natura. Possiamo anche dire che la produzione della “femmina perversa” fu un passo verso la trasformazione della vis erotica femminile in vis lavorativa – cioè il primo passo verso la trasformazione della sessualità femminile in lavoro. Ma bisogna riconoscere l’aspetto distruttivo di questo processo, che ci consente anche di dimostrare i limiti di una “storia della sessualità” quale quella proposta da Foucault, che tratta la sessualità dal punto di vista di un soggetto indifferenziato, senza connotazioni di genere, e come un’attività che ha per uomini e donne le stesse conseguenze.
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[1] “Tu non pensavi ch’io loico fossi!” (Non ti aspettavi che fossi intelligente!), ridacchiava il diavolo dell’Inferno dantesco, afferrando l’anima di Bonifacio VIII, che aveva furbescamente pensato di evitare il fuoco eterno pentendosi nell’atto stesso di compiere i suoi crimini (Divina Commedia, Inferno, canto XXVII, verso 123).
[2] Il sabotaggio dell’atto coniugale era un tema di rilievo anche nei procedimenti giudiziari del tempo che si occupavano di divorzio e separazione, soprattutto in Francia. Come osserva Robert Mandrou, gli uomini avevano una tale paura di essere ridotti all’impotenza dalle donne, che i preti dei villaggi spesso impedivano alle donne sospettate di essere abili “legatrici di nodi” (il presunto metodo per causare l’impotenza maschile) di presenziare ai matrimoni (Mandrou 1971, pp. 86-87, 433ss; Le Roy Ladurie 1984, pp. 262-263; Lecky 1886, p. 100).
[3] Questo stesso racconto compare in molte demonologie. Termina sempre con un uomo che scopre l’offesa che gli è stata arrecata e obbliga la strega a restituirgli il pene. Lei lo accompagna sulla cima di un albero, dove ce ne sono parecchi nascosti in un nido, e quando l’uomo ne sceglie uno lei gli dice: “No, quello è del vescovo.”
[4] Carolyn Merchant sostiene che gli interrogatori e le torture alle streghe servirono da modello per la metodologia della nuova scienza, così come la definì Francesco Bacone: “Molte fra le immagini usate [da Bacone] per delineare i suoi nuovi obiettivi e metodi scientifici derivano dall’aula di tribunale, e poiché egli tratta la natura come una femmina che deve essere torturata per mezzo di invenzioni meccaniche, ci vengono irresistibilmente alla mente le domande che si facevano ai processi alle streghe e gli strumenti meccanici usati per torturarle. In un brano di grande interesse, Bacone affermò che i metodi con cui si potevano scoprire i segreti della natura erano gli stessi che si usavano nell’investigare i segreti della stregoneria …” (Merchant 1988, p. 221).
