Una guerra a tutti i costi. L’equivoco fondamentale

Il 24 febbraio 2022 le truppe russe varcavano il confine ucraino, per quella che si pensava essere una operazione lampo. Cosa è cambiato, oggi, a due anni di distanza? Su Scenari proponiamo un’analisi di Orio Giorgio Stirpe, Ufficiale dell’esercito italiano e studioso di storia militare, tratta da Gli errori di Putin. Ucraina: una guerra a tutti i costi.

Durante i primi giorni di guerra, gli analisti militari occiden­tali – in servizio presso la NATO oppure in congedo davanti allo schermo del computer – hanno cercato disperatamente di indi­viduare nella manovra russa qualche traccia che consentisse di individuare la direttrice d’attacco principale e quelle secondarie, o i settori del fronte dove fossero presenti più linee successive di armate; hanno cercato di capire dove avessero luogo le pene­trazioni preventive di forze aviotrasportate per aprire la strada ai mezzi corazzati, e come le colonne meccanizzate di soldati professionisti si sarebbero fatte strada nella sterminata pianura sarmatica per evitare i centri abitati e racchiudere in una serie di sacche di resistenza le forze ucraine ancora in via di mobilitazio­ne. Insomma, cercavano tutti quegli indizi collegati alla dottrina militare nota impiegata dai russi in operazioni convenzionali che avrebbero consentito di comprendere la manovra in atto e di va­lutarla per prevederne gli sviluppi successivi.

La frustrazione è stata immensa, perché non è stato possibile rilevare niente di tutto ciò: l’avanzata russa sembrava una specie di macchia d’olio che progrediva uniforme, ma anche sempre più lentamente, e non si distingueva alcun asse d’attacco specifi­co, né primario né secondario. Le forze aviotrasportate e perfino le forze speciali (i famosi “spetsnaz”) sembravano impiegate “a pioggia”, e i centri abitati piuttosto che essere aggirati venivano investiti frontalmente, tutti insieme 

grande inganno militare della storia: un’intera dottrina falsa ven­duta per vera, e quella reale tenuta nascosta fino all’ultimo mo­mento; poi invece è diventato evidente come in effetti l’intera pianificazione operativa russa fosse semplicemente inadeguata alla situazione reale. In sostanza i russi stavano combattendo una guerra completamente diversa da quella per cui si erano preparati.

Questo in quanto il vincolo concettuale imposto dalla direttiva politica di pianificazione si basava su un pregiudizio ideologico dell’autocrate, rivelatosi semplicemente del tutto errato.

L’idea di Putin era che lo Stato ucraino, essendo basato su una nazionalità inesistente e quindi del tutto “vuoto”, sarebbe collas­sato di fronte alla potenza militare russa. Le Forze armate rego­lari si sarebbero dissolte o avrebbero rifiutato di combattere, la popolazione russofona sarebbe scesa in piazza reclamando quan­tomeno il disarmo se non addirittura l’annessione alla Russia, il governo sarebbe caduto e al massimo i gruppi armati nazionalisti sorti all’indomani di Euromaidan, quali ad esempio il famigerato “Reggimento Azov”, avrebbero opposto una resistenza localiz­zata e del tutto asimmetrica.

Ironicamente, questa era esattamente la stessa convinzione di Adolf Hitler alla vigilia dell’invasione della Russia nel 1941, quando si disse convinto che, di fronte a un attacco deciso e im­placabile da parte della Wehrmacht, “l’intero marcio edificio dell’Unione Sovietica” sarebbe crollato in un colpo.

In forza di questa ipotesi operativa le Brigate russe erano state rinforzate con robusti contingenti della “Rosgvardija”, la cosid­detta “Guardia Nazionale” basata sui vecchi contingenti di Omon del ministero degli Interni: i reparti antisommossa della polizia impiegati per l’ordine pubblico. L’idea infatti era che il proble­ma principale sarebbe stato fronteggiare l’iniziale ostilità di quei settori di popolazione che a suo tempo avevano sostenuto l’Eu­romaidan e che appartenevano alla fazione “arancione” e filocci­dentale del paese; una vera resistenza militare non era prevista, e questo è ulteriormente dimostrato dalla scarsità del sostegno logistico accumulato, indice di una prevista breve durata delle operazioni, e addirittura dalla presenza nei bagagli individuali del personale militare russo di uniformi da parata. Esistevano infatti chiari piani per celebrare in Ucraina la tradizionale parata della vittoria nella “Grande guerra patriottica”, che si tiene ai primi di maggio.

In conseguenza di questo vincolo concettuale imposto dall’au­torità politica, lo Stato Maggiore russo ha pianificato l’operazio­ne militare non come un’invasione da condurre secondo dottrina convenzionale, ma come un’occupazione preventiva in un teatro operativo ostile, da condurre con criteri ibridi. Per fare un raf­fronto storico, il concetto operativo impiegato in Ucraina si può ricondurre più alle operazioni sovietiche in Cecoslovacchia nel 1968 e in Afghanistan nel 1979 che non a quelle della Seconda guerra mondiale sul fronte orientale contro la Wehrmacht.

Quello dell’occupazione preventiva, in inglese meglio espres­so come forced entry, è un concetto operativo completamente diverso, che postula una complessiva assenza di resistenza ar­mata organizzata avversaria, e che pone l’enfasi sulla sorpresa, sulla rapidità dell’azione, sull’assenza di fuoco di preparazione, e sull’occupazione preventiva di punti sensibili da effettuare prefe­ribilmente con forze speciali infiltrate in precedenza o da inserire in teatro per via aerea. Questo tipo di azione tende ad acquisire fin dalle prime ore il controllo di tutti i punti nevralgici dello Stato da neutralizzare, rendendolo del tutto incapace di reagire e ponendolo quindi alla completa mercé dell’invasore: le forze armate avversarie vengono letteralmente sorprese all’interno del­le proprie stesse caserme e disarmate sul posto senza dar loro il tempo o la possibilità di reagire. Di fatto, è quello che era stato fatto in Crimea otto anni prima.

Un ottimo esempio di questo tipo di operazione è quella at­tuata dai tedeschi ai danni dell’Italia l’8 settembre 1943: una situazione in cui chi dovrebbe difendersi non ha il tempo o il modo di reagire e finisce con il cedere le armi anche di fronte a forze sostanzialmente inferiori a causa dell’assoluto collasso delle comunicazioni con i comandi superiori. In sostanza si crea nei soldati il dubbio di essere lasciati soli a combattere e di esse­re destinati a morire per niente; in un tale clima di incertezza la motivazione al combattimento viene meno e la resa diventa un riflesso immediato, specialmente di fronte a un invasore appa­rentemente benevolo e per il quale esiste un’opinione pregressa generalmente non troppo negativa.

Una volta assunto che l’operazione russa è stata concepita come un’occupazione preventiva piuttosto che come un’invasio­ne, e che gli invasori erano convinti di non dover fronteggia­re una resistenza organizzata quanto piuttosto un’opposizione asimmetrica, la manovra russa assume un suo senso.

Le colonne corazzate sono state lanciate in avanti lungo le arterie principali in modo da muovere con la massima rapi­dità possibile, con in testa i carri armati per incutere timore e i reparti antisommossa per neutralizzare l’amministrazione e controllare i civili; paracadutisti e forze speciali sono stati proiettati in avanti in gruppi esigui per impadronirsi di centrali radiotelevisive, basi di avvistamento radar e sedi governati­ve anche a distanze rilevanti dal fronte, nella convinzione che non avrebbero incontrato opposizione armata e che le colonne corazzate li avrebbero raggiunti rapidamente. Ma soprattutto, non è stata messa in atto alcuna campagna aerea per neutraliz­zare l’aviazione avversaria e non è stato fatto un tentativo serio di isolare e colpire le Brigate ucraine disposte per la difesa in profondità.

Insomma, gli osservatori e gli analisti militari occidentali non si raccapezzavano i primi giorni dell’invasione perché i russi avevano completamente sbagliato i parametri della loro pianifi­cazione, e operavano in maniera non congrua alla situazione in cui si trovavano a combattere: i loro piani erano basati su presup­posti completamente sbagliati.

Orio Giorgio Stirpe, Gli errori di Putin. Ucraina: una guerra a tutti i costi, 2023, 244 pp., 18€.

L’errore di valutazione russo sulla volontà di resistenza ucraina è anche alla base del motivo per cui in Occidente pochi hanno creduto alla reale intenzione russa di passare veramen­te a vie di fatto dopo le numerose provocazioni effettuate in precedenza. In fondo Putin aveva ammassato ingenti forze al confine ucraino già altre volte, minacciando azioni militari mai materializzatesi, in perfetta coerenza con la sua dottrina ibrida tendente a lasciare gli avversari perennemente nel dubbio e a impiegare risorse militari per ottenere effetti di comunicazione politica e diplomatica.

Poiché in Europa esisteva una maggiore consapevolezza del reale atteggiamento della popolazione ucraina, dal punto di vista occidentale le forze militari russe schierate al confine a febbraio 2022 semplicemente non erano sufficienti per un’invasione, e per questa ragione fondamentale la maggior parte di osservatori e analisti – incluso il sottoscritto – riteneva che quello di Putin fosse solo un ulteriore bluff, esattamente come tutti quelli che lo avevano preceduto.

Dottrinalmente, nella conduzione di operazioni militari, l’attaccante deve poter disporre di un potenziale militare gene­rico almeno tre volte superiore a quello del difensore per poter ottenere effetti di attacco soddisfacenti e tali da infliggere una sconfitta significativa all’avversario. Naturalmente il calcolo di questo potenziale è estremamente complesso e non si limita al mero confronto numerico di soldati, carri armati o pezzi di artiglieria; però tali numeri hanno la loro importanza, e se le differenze non sono significative occorre che l’attaccante di­sponga di un vantaggio schiacciante in qualche altra dimensio­ne, quali la sorpresa, la volontà di combattere, l’addestramento o la tecnologia.

Di fatto l’intelligence occidentale attribuiva ai russi una chiara superiorità in ciascuno di questi settori, ma in nessuno di essi si trattava di un vantaggio schiacciante. In definitiva, la superiorità militare russa appariva netta, ma non soverchiante in misura tale da rendere l’invasione un affare sicuro, e quindi credibile.

In mancanza di questa certezza di totale superiorità, e in as­senza di una ragione politica per correre un rischio particolar­mente elevato come un’aggressione militare priva di superiorità accertata nei termini richiesti dalla dottrina, veniva abbastanza naturale considerare l’invasione poco probabile.

Del resto, non c’erano state guerre convenzionali e simmetri­che in Europa dal 1945, e non si vedeva come la Russia potesse voler compromettere la sua economia scatenando un conflitto che da parte occidentale non sembrava avere ragione alcuna. 

Con l’Occidente e la stessa Ucraina che non si aspettavano una vera invasione, la Russia si trovava nelle condizioni migliori di poterla condurre con il vantaggio di una sorpresa a livello quan­tomeno operativo, se non addirittura strategico.

L’errore concettuale di Putin però ha rovesciato completamen­te la situazione, e alla fine è stata proprio la resistenza organizza­ta degli ucraini a sorprendere i russi.


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