Il sonno. Roland Barthes e il neutro

Nel 1977 Roland Barthes tenne un corso al Collége de France di Parigi finalizzato a slegare la nozione di Neutro dall’immagine piatta con cui si è soliti rappresentarlo. Oggi, a 44 anni dalla scomparsa dell’autore, Scenari ne propone un estratto: un’analisi dell’etimologia e della semiotica della nozione di sonno, volta a restituire al Neutro il suo valore forte e attivo originario.

Ho avuto l’opportunità di scrivere del mio interesse per un certo tipo di risveglio: il risveglio bianco, neutro [1]: per alcuni secondi, qualunque sia la Preoccupazione [2] sulla quale ci si è addormentati, momento puro senza Preoccupazione, oblio del male, vizio allo stato puro, una specie di gioia chiara in Do maggiore; poi la Preoccupazione precedente scende su di voi come un grande uccello nero: la giornata comincia. 

Questo tempo-sospeso (= una definizione del Neutro stesso): come un setaccio, forse non fra due mondi (sogno ≠ veglia), ma fra due corpi. → Tempo che è al limite della “natura”, sorta di brancolamento tra il corpo immortale (o prossimo alla morte) e il corpo preoccupato (per la “vita”, nel senso attivista del termine, che può essere, come tanti poeti hanno detto, la vita-sogno) → Gide morente: “Dormo sempre. Mi ci vuole del tempo per svegliarmi, per capire”: e il suo testimone (la Petite Dame): “Il più delle volte capisce con grande ritardo”. Il ritardo a capire: non va attribuito alla decadenza psichica, come se fosse “bene” e “normale” capire presto, immediatamente → forse: tempo per capire, una specie di tempo divino: passaggio giusto (delicato, lento, benevolo) da una logica all’altra, da un corpo all’altro. Se io dovessi creare un dio, lo farei “lento di comprendonio”: una specie di perfusione del problema [3]. Le persone che capiscono subito mi fanno paura. 

In realtà, questo risveglio neutro – prezioso, raro, fragile, breve – rinvia al sonno, come sostanza: è come una versione leggibile (percettibile, verbalizzabile) del sonno utopico. L’aporia del sonno in effetti = presagito, fantasticato come uno stato felice, ma di cui non ci si può rendere conto che in stato di non-sonno: implica una coscienza divisa staccata dalla parola. In considerazione di questo, lo chiameremo sonno utopico, o utopia del sonno, poiché non se ne può parlare che in termini di un fantasma: un sonno indotto solo da alcuni risvegli privilegiati, strazianti per la loro fragilità. 

2. L’utopia del sonno 

A) Il sogno non fa parte di questo sonno. L’equazione sonno = sogno è un’altra cosa L’utopia del sonno è senza sogno. 1) Ho il diritto di raccontare la mia esperienza personale? 

Io non amo sognare (o ricordare quel che ho sognato); se il sogno è brutto, mi amareggia al risveglio; se è dolce, mi addolora quando cessa: non potrei mai immaginare un’utopia di sonno riempita di sogni, di bei sogni. 

2) Nessuna competenza etimologica e non voglio impegnarmi a cercarla, ma forse bisognerebbe: latino: sonno = somnus (maschile, perché agente, dio, figlio di Erebo e della Notte [4]), cfr. hupnos < radice indo-europea: svap sopio: causativo (sopor, oris, forza che fa dormire, addormentamento) ≠ dormio (nessun sostantivo) < *drem. Vorrei certo che *drem > dream, che permetterebbe di opporre somnus, sonno senza sogni, a dream, o ancora songe [sogno] (profetico) < somnium a sogno; purtroppo, è una fantasia etimologica. Ma quel che è possibile, e per me significativo, è segnare una differenza tra sopio (somnus), causativo, e dormio, durativo (per la m), come se ci fossero due sonni: uno che partecipa all’addormentamento, l’altro della perdita di coscienza (= pioncer [dormire], 1828, argot < piausser (contaminato da “ronfler” [russare]) < piau, peau – coperta, letto “pieu”[5]). 

3) Il sonno “utopico” è infatti senza sogno, ma non è tuttavia una caduta nel nulla (parlo di un sogno utopico indotto da un risveglio neutro): si potrebbe anche proiettare in esso il fantasma di un’ipercoscienza (≠ onirismo); distinzione nota ai greci (cfr. Fragments d’un discours amoureux, p. 72): onar: il sogno volgare ≠ hupar [6]: la grande visione chiara (profetica); il sonno utopico, l’addormentamento sarebbe vicino a hupar: ciò che mi resta di esso, nel risveglio neutro, è una sorta di tempo in stanca (tra le maree della preoccupazione e dell’eccitazione), dove io vedo (bevo) la vita, il vivere, nella sua purezza, cioè fuori dal voler-vivere [7]. 

B) Una nota che suona vera a proposito di Gide morente: “Da ieri, Gide è in una sorta di torpore, come se non abitasse più che solo alcune parti di se stesso”. Il sonno divide il soggetto, non sotto forma di antagonismi, ma di selezioni: i suoi elementi, i suoi tratti, le sue “onde” sono gli oggetti di un’altra messa in scena. 

C) Idea del sonno-sogno = preso in una mitologia della redditività, del lavoro: “lavoro del sogno”, “lavoro onirico”: il sonno serve a qualche cosa; non soltanto restaura, ristabilisce, “rimedia”, “recupera”, ma anche trasforma, partorisce: è produttivo, salvato dalla decadenza del “per niente”. (La psicoanalisi ha installato l’idea del sogno produttore, materiale di analisi. Ideologia del lavoro: non si sogna “per niente”) ≠ sonno utopico (senza sogno), assonnatamente: improduttivo: si definisce anche come una sorta di dispendio incondizionato (= l’essere stesso della “perversione”; sarebbe insomma un sonno perverso): 

1. Affinità con la droga, perché, nell’uno e nell’altro caso (Aldo Rescio a proposito di Walter Benjamin e dell’H [8]), si tratta di “immergere i pensieri importanti in un lungo sonno”, 

in un “non-luogo”, nel “senza-padre” (ma evidentemente non “senza-madre”: tema (trito!) del sonno fetale). 

2. affinità con il tema dell’immortalità, con la figura del tempo sospeso. 

Da ricordare un tema frequente dell’iconografia dei vasi greci o dei bassorilievi: la notte distribuisce i suoi papaveri comparabili alla pianta d’immortalità [9]. 

Roland Barthes, Il neutro. Corso al Collège de France (1977-1978), Mimesis Edizioni, 2022, 368 pp., 22,80€

Una storia molto bella raccontata da Diogene Laerzio a proposito di Epimenide (uno dei sette saggi): “Un cretese <di Cnosso> che, come vedremo, cambiò volto e capelli. Suo padre lo inviò un giorno a cercare una pecora nel campo: ma verso mezzogiorno si smarrì, si coricò in una caverna e lì dormì per cinquantasette anni. Svegliatosi, continuò a cercare la pecora, credendo di aver dormito soltanto per poco tempo <…>. La notizia giunse ai Greci che lo credettero amato dagli dei <…>. Morì all’età di centocinquantasette anni”. Notare (almeno a mio avviso): 

a) Sospensione selettiva del tempo: il corpo è invecchiato, ma non la memoria: cerca la sua pecora; credo sia molto interessante, perché la memoria non è un atto puro di ricordo del passato, come se fosse esterna al tempo per poterlo afferrare meglio: la memoria e anch’essa sottomessa al tempo, alle sue ingiustizie → cfr. procedimento di scrittura che ho chiamato anamnesi [10]: richiamo erratico, caotico: l’anamnesi, sono le pecore dei Cretesi “come se fosse ieri” ma in un corpo invecchiato. ≠ Mito della Bella addormentata: più grossolano perché è tutta la scena della vita che è bloccata e poi ricomincia: l’immortalità tramite il ghiaccio: congelamento del passato in blocco (cfr. criotanatologia: setta attuale che congela i cadaveri perché credono che in qualche anno la scienza avrà trovato i mezzi per resuscitare i corpi). Il mito greco è più bello: sonno in qualche maniera più vivo, più “caldo”, perché divide (cfr. supra): lascia invecchiare il corpo (capelli e volto) ma sospende il tempo della memoria. 

b) Un certo modo di pensare l’immortalità, dato che i Greci pensavano che questo tipo di sonno è un dono degli dei: longevità come allungamento della vita; immortalità non matematica, “stupida” (non morire mai, senza preoccuparsi di immaginare che cosa sarebbe questa vita infinita, che cosa ricondurrebbe della nostra vita reale, quale nostra età immobilizzerebbe), ma idea del soggetto come insieme di tracce (onde), rimaneggiate secondo lunghezze differenti. 

c) Infine, notare che anche per i Greci l’idea del tempo improduttivo provoca una resistenza. È vero: Diogene Laerzio, greco del III secolo d.C. Laerzio: Cilicia, Anatolia. “C’è chi non vuole ammettere che egli abbia dormito così a lungo; dicono che abbia semplicemente viaggiato occupandosi di raccogliere erbe medicinali”: Non ha dormito, ha fatto qualcosa che del resto può essere in relazione con l’immortalità, le droghe.

3) Sonno, amore, benevolenza 

Come utopia, il sonno non può che essere legato, alla fine, non all’uno ma al due: non si può avere un’utopia solipsistica. 1) Forma di questa utopia del sonno: dormire in due. Cioè: ricordare il sonno senza sogni: non si sogna in due ≠ il sogno separa, solipsizza: è l’archetipo del soliloquio. Dormire in due: essenzialmente – se non proprio nella contingenza – il sonno senza sogni (perché il sogno è narcisistico) → utopia del sonno in due può essere desiderata come atto d’amore assoluto e, qualunque sia la sua realizzazione, come un fantasma d’oro. Perché: sonno interamente tessuto di fiducia. Dormire: mobilitazione della fiducia. Cfr. dormire tra due guanciali: su quello dell’altro e sul proprio ≠ dormire con un occhio solo. Dormire in due – utopisticamente – implica che è abolita la paura dell’immagine sorpresa: poco importa che io sia visto mentre dormo → il sonno di Albertine osservata dal Narratore28, atto di innamoramento (d’amore-passione), non d’amore, perché guardare è separarsi. 

2) In maniera più generale, sonno: atto stesso della fiducia: accordare a qualcuno il sonno = dargli la possibilità di essere assolutamente fiducioso = atto stesso della benevolenza. Epitaffio di Ipponatte: “Qui giace il poeta Ipponatte. Se sei malvagio, non ti avvicinare alla sua tomba. Se sei un uomo onesto e vieni da un luogo buono, non temere, siediti; e, se vuoi, dormi” [11]. Bella indicazione, molto paradossale: in generale la legge (morale) vuole che si vegli suoi morti: qui è il morto che fa dono del sonno: il massimo della benevolenza. 

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[1] V. Fragments d’un discours amoureux (OCIII, 647).
[2] [Orale: “la Preoccupazione con la P maiuscola”, precisa Barthes].
[3] [Orale: “purché i problemi si chiariscano”, aggiunge Barthes].
[4] Hypnos è il dio greco nato da questa unione.
[5] Questo paragrafo è depennato nel manoscritto.
[6] Onar e hupar, parole greche, di cui una designa il sonno notturno, l’altra la visione che si ha nello stato di veglia. V. OCIII, 516.
[7]  Questa nozione, già incontrata sopra, compare in Barthes nel 1957. Cfr. OCI, 738: “Il voler-vivere che è al fondo di ogni grande opera”.
[8] Nella collettanea a cura di A. Verdiglione, Drogue et Langage, Payot, coll. “Traces”, Parigi, 1977.
[9] “Frutti magici, immagini della conoscenza suprema che apre le porte dell’immortalità” (G. Nataf, Signes et Marques, Berg International, Parigi, 1973, p. 115).
[10] Roland Barthes par Roland Barthes (OCIII, 177): “Chiamo anamnesi l’azione (mescolanza di godimento e sforzo) che porta il soggetto a ritrovare, senza ampliarla e senza farla vibrare, una tenuità del ricordo”.
[11] À la recherche du temps perdu, La Prisonnière, Gallimard, coll. “Bibliothèque de la Pléiade”, Parigi, 1959, pp. 366 ss. 


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