La selezione oltre la biologia

Come vedrebbe la nostra specie uno scienziato alieno? Come giudicherebbe le nostre differenze di genere, il nostro comportamento sessuale, i nostri modelli educativi, i nostri codici morali, le religioni, i linguaggi, la scienza? Il libro La scimmia che ha capito l’universo di Steve Stewart-Williams affronta questi temi seguendo due tra le più importanti scuole del pensiero scientifico attuale: la psicologia evolutiva e la teoria dell’evoluzionismo culturale. Su Scenari pubblichiamo un estratto per gentile concessione di Espress edizioni.

Ci sono cose al mondo che sembrano progettate in modo intelligente. Molte di queste – quasi tutte, in effetti – rientrano essenzialmente in due categorie: manufatti umani e strutture biologiche. Le bottiglie di birra e i fusti dei cactus sembrano progettati per contenere liquidi; computer e cervelli sembrano progettati per elaborare informazioni. Da dove viene questo progetto? Ci sono diverse opinioni in proposito. Secondo i creazionisti, il progetto che vediamo nel mondo biologico proviene da Dio o da un Designer Intelligente, quello che vediamo nei nostri manufatti da noi. I darwiniani non sono d’accordo con la prima affermazione, e sostengono invece che il progetto nella vita proviene dal cieco processo della selezione naturale,mentre di solito concordano sulla seconda. A molti darwiniani piace sottolineare che alcune cose nell’universo sono davvero progettate in modo intelligente, esattamente come sostengo noi creazionisti… semplicemente, non sono le cose viventi. Gli artefatti umani – gli scacciamosche, i forni a microonde, i formaggi – sono gli unici prodotti di un progetto intelligente sul Pianeta. Il progettista, tuttavia, non è una divinità; siamo noi: un animale evoluto. Perciò, ironia della sorte, il progetto intelligente anche esso un prodotto della selezione naturale.

Questo è ciò che dicono molti darwiniani, ma non è del tutto esatto. Prima di tutto, nel mondo biologico esiste in realtà un pezzettino minuscolo di progetto intelligente. Ancora una volta però, esso non viene da un dio; proviene dai nostri allevamenti selettivi per creare nuove razze di cani, frutta più dolce, fiori più colorati, mucche più grasse e galline più produttive. Questi organismi sono, letteralmente e in larga misura, oggetti creati dall’uomo. In secondo luogo, e in modo più pertinente con la teoria sotto esame, gli artefatti e le istituzioni umane non sono puri prodotti di un progetto intelligente. Certo, l’intelligenza è importante: se non lo fosse, non si sarebbe mai evoluta. Ma l’intelligenza è solo una delle fonti del progetto che si trova nel mondo culturale. Anche la selezione cieca gioca un ruolo cruciale, togliendo carico al lavoro dell’intelligenza e dell’ingegno degli umani. Ecco qui alcuni esempi di selezione oltre la biologia.

Le barche bretoni

Il primo esempio riguarda le barche da pesca utilizzate dai pescatori bretoni dell’Île de Groix. Da dove vengono questi tipi di barche? A prima vista, la risposta sembra ovvia: se c’è qualcosa che è il prodotto di un progetto intelligente, quella è una barca. A un esame più attento però, ci rendiamo conto che non c’è davvero bisogno di genio… o almeno, i nostri cervelli hanno giocato nella costruzione delle barche un ruolo molto più modesto di quanto normalmente riteniamo. Questa eventualità fu per la prima volta notata dal filosofo francese Émile-Auguste Chartier (noto come Alain), che nel 1908 demolì il buon senso con affilati strumenti darwiniani. «Ogni barca», osservò, viene copiata da un’altra barca. Ragioniamo dunque alla maniera di Darwin. È chiaro che una barca pessima andrà a fondo dopo un paio di viaggi, e quindi non verrà mai copiata… Si potrebbe dunque affermare, con assoluto rigore, che è il mare stesso a modellare le barche, scegliendo quelle che funzionano e distruggendo le altre. Se una barca ritorna dal suo viaggio, è possibile che i carpentieri la copino. Se non torna, non lo faranno. Le barche che più probabilmente verranno copiate sono dunque quelle che sopravvivono più a lungo. Come fa notare Daniel Dennett, nessuno ha bisogno di sapere perché proprio quelle barche sopravvivano. Per fare una buona barca, non dovete necessariamente capire cosa rende buona una barca; dovete solo essere in grado di copiarla. Come capire se state copiando una buona barca? Beh, non avete bisogno di saperlo, visto che il mare automaticamente screma le barche non buone dalle altre. Nel frattempo, qualsiasi barca particolarmente buona verrà copiata a una velocità ancora più elevata. Con il passare del tempo, questo processo di scrematura e copia creerà barche sempre più efficienti per la navigazione. Ora, forse ogni singolo gradino nella graduale evoluzione  della barca è il prodotto di un progetto intelligente: quello di migliaia di fabbricanti di barche dimenticati che hanno trovato migliaia di modi per rendere le loro barche più efficienti. O forse no. Forse molti passi di quel lungo cammino sono stati semplicemente incidenti fortuiti, che sono stati automaticamente conservati e poi riprodotti. Se davvero è così, allora la progettualità evidente nelle barche bretoni viene da una selezione cieca e insensata, piuttosto che dai piani consapevoli di menti intelligenti.

Steve Stewart-Williams, La scimmia che ha capito l’universo (Espress edizioni, 2020)

Il linguaggio

Non solo il comportamento individuale è modellato dalla selezione naturale, lo sono anche i nostri strumenti culturali. Il linguaggio ne è un perfetto esempio. Gli psicologi evoluzionisti hanno sostenuto con forza che gli esseri umani sono animali parlanti per natura, invece che semplicemente animali intelligenti che hanno inventato il parlare così come l’agricoltura, Internet e la reality TV. La capacità di apprendere il linguaggio nei primi anni di vita sembra far parte della nostra dotazione biologica. Le lingue specifiche che impariamo, ovviamente, non lo sono. Nessun bambino nasce con una conoscenza del mandarino, dell’inglese o dell’urdu e se le persone non vengono mai esposte a queste lingue, non le sviluppano spontaneamente. Da dove vengono allora le lingue? Un antropologo alieno potrebbe inizialmente chiedersi se ogni lingua sia opera di un progettista intelligente: un genio linguistico che si è seduto a tavolino e ha inventato il linguaggio per tutti noi. L’alieno però capirebbe presto che, con una manciata di eccezioni (tipo l’esperanto e il klingon), le lingue non sono affatto prodotti di un progetto intelligente. Come le scimmie e le manguste, le lingue non hanno autori. Sono prodotti di un processo evolutivo. Darwin ne discusse in un brano notevole nel suo libro, L’origine dell’uomo:

Le lingue e i dialetti si diffondono in lungo e in largo e portano alla graduale estinzione di altre lingue… Lingue distinte si possono incrociare tra loro o mescolarsi insieme. Osserviamo una certa variabilità in ogni lingua e nuove parole saltano continuamente fuori; ma poiché esiste un limite al potere della memoria, singole parole, come intere lingue, si estinguono a poco a poco. Come ha fatto notare Max Muller: «è sempre in atto una lotta per la sopravvivenza tra le parole e tra le forme grammaticali in ogni lingua. Le forme migliori, più brevi e più facili prendono costantemente il sopravvento e devono il loro successo alla propria virtù intrinseca». A queste cause della sopravvivenza di certe parole, si possono aggiungere la mera novità e la moda del momento; poiché nella mente dell’uomo c’è un grande amore per un certo cambiamento in ogni campo. La sopravvivenza o la conservazione di alcune parole nella lotta per l’esistenza è una selezione naturale.

In breve, proprio come la selezione naturale elimina le barche meno idonee alla navigazione dall’insieme delle barche, e comportamenti meno premiati dall’insieme dei comportamenti dell’individuo di una popolazione, così essa elimina le parole meno facili da imparare, e meno utili, dall’insieme delle parole di ogni lingua. Il risultato inevitabile è che le lingue si evolvono nel tempo per essere più facili da apprendere e più utili. E in una lingua, i piccoli cambiamenti si assommano. In biologia, una singola specie divisa in popolazioni isolate può evolversi, in primo luogo, in razze o sottospecie distinte, e infine in specie completamente nuove. Lo stesso vale per le lingue: una sola lingua parlata da due popolazioni isolate può evolversi, in primo luogo, in dialetti distinti (l’equivalente linguistico di razze o sottospecie) e, infine, in nuove lingue (l’equivalente linguistico delle specie). Come notò astutamente Darwin, l’analogia tra evoluzione biologica ed evoluzione del linguaggio è sorprendentemente stretta.

Gli orsacchiotti

L’evoluzione del linguaggio è vecchia almeno quanto noi, ma ci sono altre aree dell’evoluzione culturale che hanno un pedigree molto più recente. Una delle più importanti è il libero mercato capitalista. Proprio come le specie competono nel loro ambiente locale, così i prodotti – dai libri ai drink effervescenti agli articoli sportivi – competono per il limitato spazio negli scaffali dei supermercati e nelle liste dei bestseller. Questa competizione potrebbe favorire l’evoluzione di prodotti ideati per succhiare più soldi possibili dalle tasche e dai conti bancari della gente – progettati, in altre parole, per vendere. Un punto importante è che gli uomini di affari non hanno bisogno necessariamente di sapere per quale ragione un prodotto venda più degli altri. Devono solo copiare i prodotti che vendono. Nella misura in cui lo fanno, il disegno che troviamo nei nostri prodotti viene più da una cieca selezione che da una progettualità intelligente. Un esempio riguarda l’evoluzione culturale dell’orsacchiotto. I primi esemplari furono messi in vendita all’inizio del ventesimo secolo. A quei tempi, avevano musi allungati e arti lunghi e magri: a dire la verità, erano piuttosto brutti. Col passare degli anni però, il loro aspetto divenne progressivamente più gradevole. I musi si accorciarono trasformandosi in adorabili facce piatte. Le fronti divennero più ampie. Gli arti si fecero più corti e paffuti. In poche parole, gli orsacchiotti sono diventati più neotenici, cioè più simili a un bambino. Si sono avvicinati sempre più all’innato Kindchenschema di cui abbiamo parlato nel capitolo 4. Gli orsacchiotti di oggi sono, a tutti gli effetti, la risposta alla domanda: cosa ottieni quando incroci un neonato umano con un cucciolo di orso? E sollevano un nuovo interrogativo: come possiamo spiegare l’evoluzione di questo giocattolo ancora oggi così popolare? Ecco una possibilità. I più affermati fabbricanti di orsacchiotti erano sensibili alle tendenze del mercato, e copiavano i progetti che avevano venduto di più nella stagione precedente. Ma non si limitavano a copiarli: alcuni modificavano il progetto precedente per renderlo ancora più consono ai nostri standard evoluti di dolcezza mentre altri facevano il contrario. I primi vendevano di più e diventavano perciò il punto di partenza della stagione successiva. Poco alla volta, gli orsacchiotti diventavano sempre più neotenici. I fabbricanti di successo di orsacchiotti sapevano che alla base delle loro vendite c’era la neotenia? Ne dubito. Dopotutto, se lo avessero saputo, sarebbero saltati subito al modello neotenico puro. Invece la tendenza alla neotenia è qualcosa di cui ci si accorse molto tempo dopo. Mentre la mutazione era in corso, i giocattolai semplicemente spingevano qualsiasi cosa vendesse. In un certo senso, sono stati i consumatori, con le loro preferenze e i loro acquisti, a trasformare gli orsacchiotti. Se i vostri genitori vi hanno mai comprato uno di questi amatissimi giocattoli, anche loro hanno contribuito alla sua evoluzione. Generalizzando, ogni volta che acquistate qualcosa, state aiutando a guidare l’evoluzione della cultura.

Questo brano è stato tratto da Steve Stewart-Williams, La scimmia che ha capito l’universo. Come la mente e la cultura si evolvono, (Espress edizioni, 2020, traduzione di Giovanni De Feo)



Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis Edizioni Visita anche Mimesis-Group.com // ISSN 2385-1139