Oblio e omissione nella scienza

La storia della scienza non si presenta come un dispiegarsi maestoso di scoperte che si inseguono l’un l’altra, ma come un processo di scoperta e oblio complesso, contraddittorio e irrazionale. Ne è un esempio la scoperta dell’ossigeno teorizzata già 1670 da John Mayow, prima dimenticata a causa della morte dello scopritore, poi resa invisibile da un secolo di oscurantismo e dall’illogica teoria del flogisto, infine ripresa un secolo dopo dalle teorie di Lavoisier. Oggi su Scenari, un estratto del saggio di Oliver Sacks, uno degli interventi che compongono Storie segrete della scienza. Accelerazioni, battute d’arresto e serendipità.

Possiamo rivolgere il nostro sguardo verso la storia delle idee in avanti o all’indietro: possiamo rintracciare gli stadi primitivi, gli indizi, le anticipazioni di ciò che pensiamo adesso; o possiamo concentrarci sull’evoluzione, gli effetti e le influenze di ciò che pensavamo un tempo. In ambedue i casi, possiamo immaginare che la storia ci venga rivelata come un continuum, un progresso, uno sbocciare simile a quello dell’albero della vita. Ciò che spesso si incontra, tuttavia, è molto distante da un maestoso dispiegamento e da ogni senso di continuità. Si tratta di una conclusione che tenterò di illustrare mediante alcune storie (che sarebbero potute diventare centinaia) le quali narrano di quanto strano, complesso, contraddittorio e irrazionale sia il processo della scoperta scientifica. Eppure, al di là delle tortuosità e degli anacronismi nella storia della scienza, al di là delle vicissitudini e degli accidenti, esiste forse un disegno generale che è possibile discernere. Ho cominciato a rendermi conto di quanto elusiva possa essere la storia della scienza in occasione dell’incontro col mio primo amore, la chimica. 

Ho un ricordo vivace di quando, da ragazzo, leggendo una storia della chimica di F.P. Armitage, che in precedenza aveva insegnato nella mia scuola, imparai che l’ossigeno era già stato praticamente scoperto intorno al 1670 da John Mayow, insieme a una teoria della combustione e della respirazione. Ma l’opera di Mayow fu poi dimenticata e resa invisibile da un secolo di oscurantismo (e dall’illogica teoria del flogisto), e l’ossigeno fu riscoperto solo cent’anni dopo, da Lavoisier. Mayow morì a trentaquattro anni: “Se fosse vissuto solo qualche anno in più,” aggiunge Armitage “difficilmente si può dubitare che avrebbe anticipato l’opera rivoluzionaria di Lavoisier, e soffocato sul nascere la teoria del flogisto”. Si trattava di un’idealizzata esaltazione di John Mayow, di un’interpretazione romanticamente errata dell’impresa scientifica, o davvero la storia della chimica sarebbe potuta essere radicalmente diversa, come Armitage suggerisce? 

Mi ricordai di questa storia a metà degli anni Sessanta, quando ero un giovane neurologo sul punto di cominciare a lavorare in una clinica che si occupava del mal di testa. Il mio lavoro consisteva nel fare una diagnosi (emicrania, cefalea tensiva, o altro) e nel prescrivere una cura. Ma io non riuscivo mai a limitarmi a questo, né ci riuscivano molti dei pazienti che incontravo. Spesso mi raccontavano altri fenomeni, oppure io stesso li osservavo: fatti che erano motivo a volte di angustia, a volte di curiosità, ma che non facevano strettamente parte del quadro medico, o perlomeno non erano necessari per esprimere una diagnosi. 

Spesso nell’emicrania classica appare al paziente una cosiddetta aura, in cui i soggetti possono vedere zig zag scintillanti che attraversano lentamente il campo visivo. Essi sono stati ben descritti e compresi. Ma talvolta, più raramente, i pazienti mi raccontavano di schemi geometrici più complessi che apparivano in sostituzione o in aggiunta agli zig zag: reticoli, spirali, vortici e ragnatele, tutti in costante movimento, rotazione e modulazione. Consultando la letteratura scientifica corrente non riuscii a trovare alcuna menzione di tali fenomeni. Stupito, decisi di indietreggiare e di cercare nei resoconti del diciannovesimo secolo, che tendono a essere molto più pieni, più vivaci e descrittivamente più ricchi di quelli moderni. 

La mia prima scoperta ebbe luogo nella sezione della biblioteca del nostro college dedicata ai libri rari (tutto ciò che era stato scritto prima del 1900 veniva considerato “raro”): uno straordinario testo sull’emicrania scritto da un medico vittoriano, Edward Liveing, intorno al 1860. Aveva un lungo, meraviglioso titolo: On Megrim, Sick-Headache, and Some Allied Disorders: A Contribution to the Pathology of Nerve Storms (Sull’emicrania, i dolori di testa e alcuni disturbi collaterali: un contributo alla patologia degli attacchi nervosi), ed era un libro dal carattere grandioso e tortuoso, chiaramente scritto in un’epoca molto più discrezionale e meno rigidamente vincolata della nostra. Si occupava brevemente dei complessi disegni geometrici che mi erano stati descritti, e mi rimandava a una relazione di alcuni anni prima, On Sensorial Vision di John Frederick Herschel, figlio di Frederick Herschel (tanto il padre quanto il figlio, oltre a essere eminenti astronomi, soffrivano di emicranie “visive” e ne scrissero). Sentivo di aver finalmente colto nel segno. Herschel figlio forniva meticolose, accurate descrizioni di quegli stessi fenomeni che i miei pazienti avevano vissuto; li aveva sperimentati lui stesso e si era avventurato in alcune profonde speculazioni riguardo alla loro possibile natura e origine. Pensava che potessero rappresentare “una specie di potere caleidoscopico” del sensorio, un potere generativo primitivo, pre-personale della mente, gli stadi più antichi della percezione, forse addirittura i suoi precursori. 

Non riuscii a trovare alcuna descrizione adeguata di tali “spettri geometrici”, come li chiamava Herschel, nell’intero periodo di cento anni trascorso tra le sue osservazioni e le mie, eppure per me era evidente che almeno una persona affetta da emicrania su venti li sperimentava occasionalmente. Come avevano potuto questi fenomeni, questi disegni sorprendenti, estremamente caratteristici e senza dubbio allucinatori, sfuggire così a lungo all’individuazione? Per prima cosa, era necessario che qualcuno li osservasse e li riportasse. Nello stesso anno in cui Herschel riferiva dei suoi spettri, G.B.A. Duchenne, in Francia, descriveva un caso di distrofia muscolare. Ma qui le due storie divergono. Non appena le osservazioni di Duchenne furono pubblicate, i medici cominciarono a “vedere” la distrofia ovunque, e nel giro di pochi anni centinaia di altri casi furono riferiti e descritti. Il disturbo era sempre esistito, ubiquo e inequivocabile. Perché abbiamo avuto bisogno di Duchenne per aprire gli occhi? Le sue osservazioni entrarono all’improvviso nella percezione clinica corrente come una sindrome, un disturbo di grande importanza. 

La relazione di Herschel, al contrario, affondò senza lasciare traccia. Egli non era un dottore che compiva osservazioni mediche, ma un osservatore indipendente di grande curiosità. Si considerava un astronomo anche per quanto riguardava le proprie allucinazioni, e in effetti si definiva “un astronomo interiore”. Herschel sospettava che le proprie osservazioni avessero importanza scientifica, e che tali fenomeni potessero condurre verso importanti deduzioni sul cervello, ma non prese in considerazione il fatto che potessero avere anche un’importanza medica. Poiché l’emicrania viene solitamente definita come una condizione “medica”, le osservazioni di Herschel erano prive di status professionale; furono considerate irrilevanti, e dopo una breve menzione nel libro di Liveing furono dimenticate, ignorate dagli addetti. Se dovevano indicare la via verso nuove idee scientifiche sulla mente e sul cervello, non c’era modo di operare le necessarie connessioni nel 1850; i concetti indispensabili emersero unicamente centoventi anni dopo. 

O. Sacks, S.J. Gould, J. Miller, D.J. Kevles, R.C. Lewontin, Storie segrete della scienza. Accelerazioni, battute d’arresto e serendipità (Mimesis Edizioni, 226 pag., 18€)

Tali concetti indispensabili emersero congiuntamente ai recenti sviluppi della teoria del caos, la quale dimostra che, pur essendo impossibile predire in dettaglio la disposizione individuale di ciascun elemento disturbo era sempre esistito, ubiquo e inequivocabile. Perché abbiamo avuto bisogno di Duchenne per aprire gli occhi? Le sue osservazioni entrarono all’improvviso nella percezione clinica corrente come una sindrome, un disturbo di grande importanza.  La relazione di Herschel, al contrario, affondò senza lasciare traccia. Egli non era un dottore che compiva osservazioni mediche, ma un osservatore indipendente di grande curiosità. Si considerava un astronomo anche per quanto riguardava le proprie allucinazioni, e in effetti si definiva “un astronomo interiore”. Herschel sospettava che le proprie osservazioni avessero importanza scientifica, e che tali fenomeni potessero condurre verso importanti deduzioni sul cervello, ma non prese in considerazione il fatto che potessero avere anche un’importanza medica. Poiché l’emicrania viene solitamente definita come una condizione “medica”, le osservazioni di Herschel erano prive di status professionale; furono considerate irrilevanti, e dopo una breve menzione nel libro di Liveing furono dimenticate, ignorate dagli addetti. Se dovevano indicare la via verso nuove idee scientifiche sulla mente e sul cervello, non c’era modo di operare le necessarie connessioni nel 1850; i concetti indispensabili emersero unicamente centoventi anni dopo. 

Tali concetti indispensabili emersero congiuntamente ai recenti sviluppi della teoria del caos, la quale dimostra che, pur essendo impossibile predire in dettaglio la disposizione individuale di ciascun elemento in un sistema, quando milioni di elementi interagiscono tra loro (come, per esempio, nel caso dei milioni di cellule nervose nella corteccia visiva primaria) è possibile discernere schemi a un livello superiore, utilizzando recenti metodi di analisi matematica e calcolo numerico. Esistono “comportamenti universali” che emergono in interazioni di questo tipo, comportamenti che rappresentano le modalità in cui simili sistemi dinamici e non lineari organizzano sé stessi. Essi tendono ad assumere la forma di schemi complessi e iterativi nel tempo e nello spazio, cioè proprio quel tipo di reticoli, spirali, vortici e ragnatele che si vedono nelle allucinazioni geometriche dell’emicrania. 

Tali comportamenti caotici sono stati ormai riconosciuti in un ampio spettro di sistemi naturali, dai moti eccentrici di Plutone ai singolari disegni che appaiono nel corso di determinate reazioni chimiche, alla moltiplicazione delle muffe e ai capricci del tempo. Di conseguenza, un fenomeno finora insignificante o trascurato come i disegni geometrici dell’aura dell’emicrania assume improvvisamente una nuova importanza. Ci mostra, nella forma di una visione allucinatoria, non solo l’attività elementare all’interno della corteccia cerebrale, ma un intero sistema organizzato, un comportamento universale all’opera. 


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