Spin-off e temporalità: Better Call Saul

 

 

Il problema delle serie tv è talvolta il loro successo, che spinge creatori e (soprattutto) canali a continuare a spremere storie anche quando hanno smesso da tempo di produrre qualche goccia di succo (due esempi: Dexter e True Blood). La richiesta di prosecuzione di un racconto “di successo” non viene però soltanto dai produttori ma, spesso, anche dagli spettatori, che non accettano di porre fine al loro piacere. Elaborare il lutto della perdita di una serie o di una saga può essere un’operazione dolorosa. Il fenomeno assume toni particolarmente enfatici quando si ha a che fare con opere a carattere generazionale, ad esempio Harry Potter. Le soluzioni per riempire il vuoto sono essenzialmente due: la re-visione (piacere dell’iterazione+nostalgia); e la ricerca di una nuova passione (sostituzione dell’oggetto amato). L’industria audiovisiva offre qualche volta la possibilità di combinare le due cose attraverso lo stratagemma dello spin-off, che dà uno spazio da protagonista a una delle sottotrame o a uno dei personaggi della narrazione precedente. Lo spin-off permette agli autori di mettere un termine al racconto nel momento giusto e allo stesso tempo di non abbandonarlo, di accompagnarne ancora i personaggi.

È ciò che ha scelto di fare Vince Gilligan, reduce dal celebrato Breaking Bad. Lo strepitoso personaggio di Saul Goodman, avvocato camp e truffaldino, diventa protagonista di una serie tutta sua, Better Call Saul, di cui è appena andata in onda una prima stagione esaltata dalla critica quasi quanto Breaking Bad. La deviazione dal racconto precedente realizzata da uno spin-off ha quasi sempre a che fare con la definizione di una nuova temporalità. Il tema dello slittamento cronologico come prodotto necessario dello spin-off è particolarmente centrale in Better Call Saul, dove assistiamo a una densa stratificazione di livelli temporali:

– Esiste il presente del racconto, dove Jimmy McGill (non ancora “Saul”) sta muovendo i suoi passi nella professione di avvocato (si assiste quindi allo strano caso per cui, almeno nella sua prima stagione, una serie con “Saul” nel titolo ha per protagonista un personaggio che si chiama Jimmy);

– C’è poi il futuro del racconto, il momento in cui Jimmy diventerà Saul Goodman, quello che abbiamo conosciuto in Breaking Bad. Questa trasformazione è sempre annunciata, mai mostrata ma solo anticipata da numerosi indizi, ad esempio quando Jimmy ha la tentazione (che rimane per ora solo tale) di scegliere una camicia particolarmente appariscente “in stile Saul Goodman”;

– Il primo episodio della prima stagione di Better Call Saul si apre però (in piena tradizione breakingbadiana) con un cold open che mostra un ulteriore futuro del racconto: quello di Saul Goodman dopo gli eventi mostrati in Breaking Bad. Si tratta di un futuro che realizza l’auto-profezia di Saul stesso, che, nell’ipotesto, a giochi ormai compromessi, parlava così a Walter White: “D’ora in poi sono ‘Mister Basso Profilo’: se sono fortunato di qui a un mese, nel migliore dei casi, gestisco un Cinnabon [un fast-food] a Omaha”. È infatti lì che lo vediamo;

– [mini-spoiler] Nel corso della stagione (cold open dell’episodio Hero, 1×04) assistiamo inoltre a dei flashback in cui ritroviamo un Jimmy giovane, soprannominato all’epoca “Slippin’ Jimmy”, che sbarca il lunario facendo il piccolo truffatore di strada;

– [mini-spoiler] Oltre a questi flashback osserviamo nell’episodio 1×10, Marco, una sorta di (chiamiamolo così) “flashback nel presente”: l’avvocato Jimmy McGill torna infatti a essere Slippin’ Jimmy nel corso di una breve vacanza a casa (che è anche una “vacanza” nell’altro senso, ovvero da ciò che nel frattempo è diventato).

I piani temporali di Better Call Saul si intersecano dunque in modo piuttosto complesso. Ai balzi interni alla narrazione si aggiungono quelli che scattano nella mente dello spettatore: il salto all’indietro (nella cronologia diegetica) rispetto a Breaking Bad induce lo spettatore (o lo costringe) a continui flashforward, a leggere il comportamento “presente” di Jimmy in Better Call Saul alla luce del suo futuro in Breaking Bad. Nella percezione dello spettatore Breaking Bad è contemporaneamente il passato della sua visione e l’avvenire dei personaggi che sta guardando.

Oltre a tale questione “strutturale”, in Better Call Saul vengono continuamente inseriti riferimenti, citazioni, allusioni a Breaking Bad – personaggi, dettagli, targhe o modelli d’auto, location, indirizzi (vedi )… Gli indizi disseminati lungo tutto il corso della narrazione sono certo dei trick che servono a tenere occupata la cospicua e agguerrita fan culture breakingbadiana – una tipologia di spettatorialità “investigativa” tipica della serialità televisiva nell’era del digitale, da Lost in poi. Un cappello e una giacchetta beige abbandonati su un appendiabiti possono quindi venire interpretati (o sovrainterpretati) come una traccia della presenza di Heisenberg in Better Call Saul (vedi). Ma tali indizi svolgono anche la funzione di rimedio omeopatico alla nostalgia: cappello e giacchetta non sono solo strizzatine d’occhio visuali di cui può fruire lo spettatore più attento/razionale/nerd ma anche feticci consolatori per lo spettatore sentimentale.

Il tempo o meglio i tempi del racconto di Better Call Saul si adattano quindi perfettamente al sentimento di temporalità di uno spettatore nostalgico (innamorato del passato, Breaking Bad) che nel frattempo ha però trovato un nuovo oggetto d’amore nel presente (la prima stagione di Better Call Saul con Jimmy McGill) e nel futuro (le successive stagioni, dove trionferà Saul Goodman). La serie di Vince Gilligan e Peter Gould dimostra in definitiva di essere un dispositivo narrativo davvero geniale, capace di un lavorare in modo complesso sulla temporalità per agganciare la percezione degli spettatori a quella dei personaggi.



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