Parlando di transizioni, (F. Sollazzo (a cura di), Transizioni. Filosofia e cambiamento, goWare, 2018) la prima cosa che salta all’occhio di questo testo è che la sua stessa natura sembra prendere sul serio il problema delle trasformazioni in cui siamo immersi: si tratta infatti di un e-book, anziché di un libro “analogico”. Certo, la sua forma e la sua organizzazione sono ancoraquelle del libro in senso stretto, ma è perché non siamo comunque (ancora?) in grado di articolare concetti indipendentemente dalla forma-testo in quanto forma-libro.
L’idea di fondo che percorre gli otto contributi di questo lavoro è tutt’altro che scontata, ed è altresì feconda: la filosofia ha qualcosa da dire sulle trasformazioni, sul problema delle transizioni.
È un’idea non banale perché spesso si associa e si pratica, a livello del senso comune come del lavoro più o meno professionale, la filosofia come qualcosa che è rivolto all’eterno, all’immutabile, al sovrastorico, o – quantomeno – alla dimensione dell’astrazione: è come se la filosofia cominciasse proprio laddove i cambiamenti sono finiti, o si sono placati, laddove cioè il divenire ha fatto posto all’essere. Questo testo, invece, è percorso da una sensibilità totalmente differente: è come se la filosofia cominciasse proprio laddove ci fossero dei cambiamenti in corso e occorresse una forma di riorientamento o ricollocamento, ossia – in parole povere – una rinnovata (auto)comprensione.
È anche un’idea feconda perché, piaccia o meno, le società complesse contemporanee – ma forse davvero l’intero globo – vivono nel mezzo di una fase di radicale metamorfosi, il che significa che i cambiamenti stanno avvenendo su diversi livelli contemporaneamente (politico, sociale, economico, culturale, educativo, etico, scientifico, tecnologico, antropologico, ecc.). Insomma, sta accadendo tutto nello stesso tempo: non è semplicemente che sta avvenendo un cambiamento, è che siamo nel pieno di svariati cambiamenti, che si intrecciano e rimescolano i confini. Stiamo transitando, appunto, e la filosofia interviene proprio in questo modo, offrendo – come questo lavoro comincia a indicare – un tentativo di concepire le transizioni.
“Concepire” vuol dire qualcosa di molto semplice: rendere qualcosa concepibile ovvero comprensibile, articolabile e praticabile. Ciò significa, secondo le due parti in cui si divide il volume (Attraversamenti teoretici e Attraversamenti sociali), cercare e di cogliere il modo in cui si sviluppano i cambiamenti, qualcosa come la loro struttura, e di provare a descrivere criticamente alcuni cambiamenti particolarmente significativi che sono in atto, o alcuni campi in cui sono per noi fortemente incisive le transizioni.
Se dal primo versante trova particolare spazio il modo in cui Heidegger si è interrogato sulla questione della storia e sul rapporto tra un pensiero sensibile alla storicità e il sapere scientifico, dal secondo versante emergono con più nettezza almeno due aspetti, legati soprattutto al confronto con correnti o autori come la Scuola di Francoforte, Camus, Gramsci, Pasolini e Wittgenstein. Il primo è il tema dell’arte e del linguaggio (letterario come quotidiano) quali luoghi “privilegiati” in cui cartografare i mutamenti. Il secondo è il problema del rapporto tra società e individualità, insistendo sul modo in cui la razionalità strumentale – che attraverserebbe l’economia come la scienza – agirebbe alla stregua di un inquadramento e di un livellamento generalizzati.
Al di là dei risultati specifici cui pervengono i contributi, come sempre discutibili e interpretabili (personalmente credo si risenta di una fedeltà ancora troppo marcata a un paradigma critico ormai eccessivamente ristretto, come quello heideggeriano-francofortese), sono proprio lo spirito e l’impostazione del lavoro a dover essere presi in seria considerazione. Infatti, emerge come la filosofia si occupi del cambiamento perché è essa stessa parte dei cambiamenti ed è fatta di cambiamenti: le cose cambiano, le trasformazioni avvengono e ne facciamo parte, questo è il vero sollecito per la filosofia e il terreno su cui si può ogni volta fare e rifare filosofia. Questa è la ragione per cui serve filosofia: riuscire a “farsi un quadro” di ciò che accade – va ribadito ogni volta con forza –è tutt’altro che inutile.
Addirittura, mi sembra questo l’orizzonte più stimolante aperto dall’opera, si delinea il fatto che la filosofia non è nient’altro che un esercizio (“mentale” come “pratico”) volto ad abitare i cambiamenti, a imparare ad avere a che fare con le transizioni, senza demonizzarle e senza celebrarle (entrambi atteggiamenti acritici), ma cercando ogni volta di attraversarle e reindirizzarle nel modo migliore, per sé come per gli altri. Il presente e-book, in definitiva, è un piccolo strumento che va in questa direzione.
recensione di Giacomo Pezzano