Moda e nuovi orizzonti. Un’intervista a Barbara Digiglio, vice direttrice di Elle Italia.

Quale ruolo occupano oggi le riviste di moda nel lancio delle nuove tendenze? Il recente slancio verso la Body diversity e inclusivity nel fashion è motore di un reale cambiamento sociale o è uno specchietto per le allodole? Quali significati si nascondono dietro un outift?
Lo ha chiesto Chiara Tessariol per Scenari a Barbara Digiglio, vice direttrice del magazine Elle.

Chiara Tessariol: Buongiorno Barbara, grazie di essere qui con me oggi ed avermi dato la possibilità di intervistarti. Mi piacerebbe iniziare questa intervista chiedendoti qual è, secondo te, il ruolo dei fashion magazines nello sviluppo dei nuovi trends: li creano o li seguono?

Barbara Digiglio: Li raccontano. Li intercettano, selezionano quelli più vicini e traducibili al pubblico al quale il magazine parla e glieli raccontano attraverso approfondimenti, interviste o semplici ispirazioni visive. Il magazine è il buyer e lo stylist del lettore: ti dice lui “cosa dovresti comprare” e “come dovresti indossarlo/abbinarlo”.

Body diversity e inclusivity sono due parole che sentiamo sempre più spesso nel mondo della moda, ma stiamo assistendo a un reale cambiamento o si tratta solo di un fenomeno che si consuma in se stesso?

Il cambiamento è in atto. In Italia, per dichiarate ragioni culturali, forse più lentamente rispetto al resto del mondo. Ma l’evoluzione/rivoluzione digitale e social ha messo chiunque di fronte all’attualità: le cose stanno andando in una direzione molto chiara, è impossibile fare finta di niente, è un dovere prendere parte al cambiamento, e raccontarlo. Questi nuovi codici estetici che hanno ridisegnato, allargato, contaminato i confini della moda e le sue regole. Questo si vede soprattutto nei casting delle sfilate e delle campagne moda: con modelle di tutte le nazionalità del mondo e con tutte le taglie del mondo. Il diverso, lo strano, va di moda. E questo, bisogna darne atto, è accaduto soprattutto grazie al lavoro di Alessandro Michele che con la sua visione ha definito una nuova estetica per Gucci e per il mondo della moda in generale, aprendo le sfilate e le collezioni al suo “club di strani”. Il diverso, lo strano, lo sbagliato, è diventano giustissimo.

Il modo in cui ci vestiamo è anche un atto politico. Spesso ci si trova di fronte a tematiche delicate e complesse come quelle della moda genderless o cross dressing, hai la sensazione che ogni parola che scrivi abbia un peso diverso?

Tutto, oggi, ha un peso misurabile, o meglio: tutto quello che si fa e che si scrive oggi è esposto a giudizio (troppo spesso però privo di senso critico). Tutto oggi si scontra con il politically correct. Oggi attraverso le piattaforme digitali e social tutti possono dire la loro e trovare un palco o un pubblico più o meno ampio che lo ascolti. Il rischio dell’aprire bocca senza essere sufficientemente autorevoli e rilevanti? Essere fraintesi e quindi fischiati. Un magazine, fatto da giornalisti professionisti, sgombra il campo a malintesi e riduce quel rischio al minimo perché affronterà i temi solo se è in grado di farlo con il taglio e la firma più giusta e autorevole, appunto. Tutti possono scrivere e dire tutto? No. Le parole hanno un peso e bisogna saperle usare, non solo per non cadere nel politicamente scorretto ma per senso etico e morale. E questo, ovviamente, non vale solo per la moda.

Credi che oggi le persone siano pronte a leggere di temi come la gender fluidity? Secondo te a che punto si trova l’Italia rispetto a queste tematiche?

È pronto chi ha voglia di esserlo. È pronto chi si informa, chi è curioso, chi ha un pensiero critico. Troppo spesso oggi termini come gender fluidity, genderless, women empowerment, inclusivity restano termini e non diventano concetti. Si stressa troppo la teoria ma non si fa pratica. Questi termini sono concetti ma sono anche abitudini e modi di vivere. Mi piacerebbe molto che diventassero talmente presenti da risultare scontati, così vissuti da diventare abitudini quotidiane.

Mi racconteresti cosa ti appassiona di più della moda, come ti abbia influenzato e qual è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso quello che scrivi?

Non sono fan della moda, non sono fan degli abiti, sono fan delle persone e delle storie legate alla moda. I designer, le modelle, i casting director, i buyer, le stylist, i pr. La moda è cultura e fa costume. Questa è la parte che più mi diverte. Non sono una esperta del prodotto, infatti spessissimo quando partecipo a una sfilata, mi attira la scelta della location, il modo in cui è stato organizzato il setting, le persone che sono state invitate, e le modelle, più degli abiti in sé per sé. Tutto quello che fa sì che il sistema moda viva, questo è quello che mi affascina e che mi diverte raccontare.



Scenari. Il settimanale di approfondimento culturale di Mimesis Edizioni Visita anche Mimesis-Group.com // ISSN 2385-1139