L’identità instabile: “Autobiography of An Ex-Colored Man” di James Weldon Johnson

Pubblicato originariamente in forma anonima nel 1912, Autobiography of An Ex-Colored Man di James Weldon Johnson documenta il fenomeno del passing negli Stati Uniti di inizio Novecento e le difficoltà di un protagonista mulatto alla ricerca della sua identità, in bilico tra accettazione sociale ed esigenza di affermazione del vero io.
Su Scenari pubblichiamo un estratto del saggio di Sostene Massimo Zangari
Narrazioni etniche. Il romanzo di marginalità negli Stati Uniti (Mimesis Edizioni, 2023) dedicato a questo interessante caso editoriale.

Secondo quanto racconta nell’autobiografia Along This Way (1933/37), James Weldon Johnson (1871-1938) voleva inizialmente intitolare il suo primo romanzo The Chameleon, e solo successivamente optò per il definitivo Autobiography of An Ex-Colored Man1.
La scelta originaria sottolineava la natura camaleontica del protagonista, figura probabilmente ispirata da un amico dell’autore che aveva deciso di fare passing. Questa era la possibilità, per gli afroamericani di carnagione chiara, di “passare” per bianchi.
La legge dell’epoca precedente all’emancipazione, basata sul principio della “goccia di sangue”, considerava schiavo chiunque avesse avuto almeno un antenato nero, anche se la pigmentazione cutanea era scarsamente distinguibile da quella di un “puro” anglosassone. Diversi mulatti decisero di sfruttare a proprio vantaggio questa particolarità per fuggire da una vita di restrizioni e discriminazioni e inventarsi una nuova esistenza da bianchi. Il fenomeno del passing aveva ispirato diversi narratori afroamericani, in quanto consentiva di scavare nelle ambiguità della legislazione e della censura sociale nei loro confronti2.

Inserendosi in questa tradizione, Johnson scelse come protagonista un mulatto che, scoperto in giovane età di essere considerato ‘nero’ dagli altri, decide di adeguarsi alla nuova condizione e vivere da quel momento in avanti come membro della comunità afroamericana. Questa fase si interrompe bruscamente quando l’eroe, per quanto abbia tentato in vari modi di trovare una collocazione sociale soddisfacente, comprende come, proprio perché afroamericano, non abbia la possibilità di plasmare il proprio destino a suo piacimento. Egli decide allora di tornare sui propri passi e vivere da bianco: la scelta lo mette infine in condizione di raggiungere una moderata prosperità economica. Pubblicato anonimo nel 1912, Autobiography of An Ex-Colored Man venne inizialmente accolto come documento autentico, e solo la ristampa del 1927, che portava in copertina l’indicazione dell’autore, chiarì l’equivoco.   
Se Johnson avesse mantenuto il titolo originale, la curiosità intorno al libro sarebbe stata minore. Tuttavia, anche The Chameleon avrebbe avuto dei pregi, in quanto l’espressione allude a tutti gli scivolamenti che interessano la scrittura, sia per la forma che per il contenuto. La serie di domande che possiamo porre al testo, ma alle quali non riusciamo a trovare risposta definitiva, è lunga: autobiografia o romanzo? Il protagonista è bianco o nero? È un narratore affidabile? La confessione finale, nella quale il narratore ammette di avere sacrificato la vena artistica per rendere più solida la sua condizione sociale, è una sincera ammissione di fallimento o solo una posa? E il rammarico per avere tradito la popolazione afroamericana è un sentimento autentico?

Si tratta di interrogativi a cui il testo, nel suo essere ‘camaleontico’, rifiuta deliberatamente di rispondere, invitando il lettore a fare lo stesso. Come suggeriscono diverse letture dell’opera3, la cifra ‘unificante’ – parola volutamente presentata tra virgolette – del testo è l’instabilità, l’impossibilità di affrontarlo utilizzando categorie convenzionali; un testo che, come suggerisce Neil Brooks, nel prendere spunto dal passing da nero a bianco – le due categorie ‘razziali’ accettate nella legislazione statunitense del tempo – abbraccia la contraddizione implicita nella possibilità di migrare dall’una all’altra, e di poterlo fare grazie a una semplice decisione individuale. La contraddizione è insita in un sistema che si vorrebbe rigidamente diviso in categorie autoescludentesi – chi è bianco non è nero, e viceversa – ma che nella pratica consente, ad alcuni, una facile transizione tra le due4. Per questo, suggerisce Brooks, la contraddizione diventa la cifra identitaria stessa sia del protagonista che del testo: entrambi infatti rimangono rispettivamente senza nome e senza autore.
Autobiography of An Ex-Colored Man, quindi, anticipa le riflessioni che Johnson inserirà nella prefazione all’antologia di poesia nera: l’artista, per essere veramente tale, deve diventare consapevole delle convenzioni che potrebbero limitarne la creatività, e imparare a svuotarle di senso.
È questa delegittimazione delle categorie e dei confini l’essenza del ‘practical joke on society’ che il narratore si prende il compito di realizzare trasformando le “little tragedies of my life”5 (Ex-Colored Man 5) dell’eroe in testo; una strategia che ha disorientato quanti hanno cercato una chiave di lettura univoca per rispondere alle domande poste dal romanzo. In una società che costruisce sé stessa e le sue manifestazioni culturali per mezzo di classificazioni rigide – una società che, così facendo, decide deliberatamente di ignorare quella parte della propria storia che è invece basata sulla contaminazione – il “practical joke” è quello di esplorare invece i territori di ibridità.

La prefazione, parodia delle lettere autenticatrici che introducono gli slave narratives, è l’apoteosi della destabilizzazione. I fittizi “publishers” fanno cenno, tra i possibili motivi di interesse per il lettore, alla presenza di episodi che illustrano la varietà della vita afroamericana contemporanea:    in questo modo, da un lato strizzano l’occhio alla curiosità di un pubblico colto e metropolitano per un ambito ‘esotico’ lontano dalla propria quotidianità, ma dall’altro pongono l’accento sulla natura composita della società afroamericana, e sul fatto che i personaggi neri che il lettore andrà a incontrare nel libro non sono quelli soliti “framed”6 dalle convenzioni imposte dalla élite dominante. Tuttavia, l’atto stesso di suddividere una comunità in diverse componenti è un atto di classificazione, nuove categorie vengono arbitrariamente create, e con questo atto si impone un nuovo “frame” alla realtà. Stavolta però il colpevole è il narratore, colui che in tutta la sua esistenza aveva cercato di resistere all’incasellamento impostogli dalla società; anche lui, nel proporre una tassonomia seppure originale, cade nella trappola di ignorare i territori di ibridità tra un gruppo e l’altro.
La lettera/prefazione suggerisce un rapporto stretto tra il romanzo di Johnson e lo slave narrative. Lucinda Mackethan ha infatti parlato del testo di Johnson come di uno slave narrative al contrario: anziché giungere alla conquista di un nome, e quindi di un’identità, il narratore si defila nell’anonimato; anziché conquistare una condizione in cui il nero è legittimamente parte del consorzio umano, il narratore ne sancisce l’estraneità; e anziché identificare le tappe che scandiscono il percorso verso la libertà, le vicende indirizzano il narratore verso una nuova forma di schiavitù – la schiavitù di chi, con le sue scelte, accetta il sistema basato su classificazioni razziali.
In conclusione, nel libro Johnson propone una “enslavement of vision and voice”, e un protagonista che “relegates himself to a permanent position of ‘black boy’, un individuo relegato alla marginalità e a cui è negata anche la maturità7.
Così come in un tradizionale slave narrative, il protagonista si rivolge direttamente al lettore. Tuttavia, la libertà che egli conquista dopo diverse peripezie è una libertà in quanto uomo bianco, che testimonia quanto egli, nonostante sfrutti le divisioni razziali a proprio vantaggio, in conclusione accetti la gerarchia tra i diversi gruppi e non la contesti. Pur svolgendosi completamente nel periodo successivo alla Guerra civile, il racconto si propone come riflessione sulla natura della schiavitù – una schiavitù che non è più il lavoro forzato nelle piantagioni, ma quella forma di dipendenza e prigionia nei costrutti sociali che si sono affermati dopo il proclama di abolizione. Il narratore si presenta al lettore come individuo in pieno controllo della propria esistenza, artefice del proprio destino. Ma questa libertà è quella di un uomo bianco e, per contrasto, ribadisce quanto essa non fosse alla portata dei neri.

James Weldon Johnson

Alcuni passi del romanzo ripropongono il tema del rapporto tra schiavo e padrone. La sequenza più esplicita si svolge durante il periodo trascorso al servizio di un anonimo gentiluomo benestante. Ingaggiato come intrattenitore musicale, il narratore viene introdotto nel gran mondo dell’aristocrazia newyorkese. Il contratto tra i due, tuttavia, è particolarmente rigido in quanto inteso dal ‘padrone’ come accesso indiscriminato al servizio messo a disposizione: al protagonista viene infatti richiesto di suonare il pianoforte a qualsiasi ora del giorno e della notte, secondo il capriccio del gentiluomo. E non di rado gli intrattenimenti musicali andavano avanti per diverse ore: “At times”, confessa, “I became so oppressed with fatigue and sleepiness that it took almost superhuman effort to keep my fingers going” (Ex-Colored 74). “He seemed to be some grim, mute, but relentless tyrant” aggiunge, “possessing over me a supernatural power which he used to drive me on mercilessly to exhaustion” (Ex-Colored 74): tiranno e ‘potere soprannaturale’ sono due attributi che trasformano il gentiluomo in una versione aggiornata del padrone di schiavi. Nonostante i parallelismi evidenti, il narratore evita di rappresentarsi come schiavo moderno: “But these feelings came very rarely; besides, he paid me so liberally I could forget much”( Ex-Colored 74).
Siamo lontani dalle condizioni di lavoro nella piantagione e nel Sud rurale. Nella dimora dell’anonimo non ci sono catene, abiti miseri, punizioni corporali, e il cibo è abbondante. Il protagonista, poi, ha la possibilità di accompagnare il datore di lavoro in un viaggio attraverso l’Europa, che lo porterà a esplorare nuovi ambienti e ampliare i propri orizzonti. Una sorta di espansione spirituale che, tuttavia, altro non è che una prigione dorata: il nero non ha qui la possibilità di crearsi un’identità che prescinda dai suoi obblighi contrattuali.   

Questo ritorno della schiavitù sotto le mentite spoglie di una libertà limitata da un contratto di lavoro è una riflessione sulla parabola dell’emancipazione durante il periodo della Ricostruzione.
Il giudizio sull’abolizione della schiavitù è simboleggiato dalla moneta da dieci dollari che il narratore riceve dal padre bianco nel corso di quello che sarà il loro ultimo incontro: il genitore pratica un foro nella moneta, e vi inserisce una cordicella per ricavare un ciondolo, che metterà al collo del figlio. Il narratore commenta l’episodio con disappunto, “more than once I have wished that some other way had been found of attaching it to me besides putting a hole through it” (Ex Colored 6). Il ciondolo è un rimando alle catene a cui venivano legati gli schiavi; la moneta, invece, segnala la trasformazione da servo a proletario – forza lavoro in cambio di salario: certo, la fatica fisica sarà remunerata, ma l’operaio salariato difficilmente avrà la possibilità di aspirare a una condizione migliore. Il buco ricavato nella moneta suggerisce come l’entrata nel mercato del lavoro non sarà una tappa verso una futura emancipazione, ma solo un nuovo rapporto segnato dalla subordinazione. La moneta intera, e con essa l’indipendenza finanziaria, sarà sempre oltre la portata dell’ex colored man.
L’anonimo protagonista, fin dalla giovinezza, combatte per affermare la propria individualità al di là di qualsiasi tipo di costrizione esterna – in altre parole, in una impresa profondamente americana.
Nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, egli manifesta una profonda avversione per i sistemi arbitrari di rappresentazione della realtà, come la scrittura per la produzione linguistica, e la notazione pentagrammatica per la musica: rispetto a quest’ultimo ambito, egli racconta di avere appreso “the names of the notes in both clefs”, ma di preferire di non essere. “hampered by notes” (Ex-Colored 8), mentre per la lettura, “whenever I came to words that were difficult or unfamiliar, I was prone to bring my imagination to the rescue and read from the picture” (Ex-Colored 8).
In entrambi i casi, seguire un percorso arbitrario di decifrazione della scrittura viene vissuto come un’imposizione che male si adatta alla propensione libertaria del protagonista. Tuttavia, l’aderenza a uno ‘spartito’ predefinito si impone come necessità di vita, soprattutto in relazione alla questione del colore. La scoperta di non essere bianco, nonostante la carnagione chiara, giunge come un fulmine a ciel sereno durante un normale giorno di scuola: il preside entra in classe e chiede che gli alunni bianchi si alzino in piedi. Al narratore, levatosi con gli altri compagni, viene ordinato di sedersi. Questo episodio provocò “my transition from one world into another” (Ex-Colored 15), e per la prima volta, il narratore è costretto a porsi delle domande su sé stesso, su chi egli sia, sul suo posto nella comunità.
Fino a quel momento, il suo rapporto con i coetanei neri era stato determinato dalla percezione che essi fossero un “altro da sé”, e aveva seguito i binari tradizionali della differenza: non solo il narratore nota che questi erano generalmente ‘looked down upon’ ma aveva egli stesso preso l’abitudine di utilizzare l’espressione ‘nigger’ nell’indicarli (Ex-Colored 11). Ma dopo avere ricevuto la notizia di appartenere al gruppo designato da quell’epiteto, il protagonista si scontra con il fatto che questo “altro da sé” è in realtà parte della sua identità. Guardandosi allo specchio, egli scruta l’immagine riflessa per trovare gli indizi di quella bellezza che è associata al bianco e non al nero, e per la prima volta riconosce sul suo viso alcuni tratti somatici a cui non aveva mai dato peso. Questa scoperta induce il narratore a sottoporre anche la madre a un attento esame:

And then it was that I looked at her critically for the first time. I had thought of her in a childish way only as the most beautiful woman in the world; now I looked at her searching for defects. I could see that her skin was almost brown, that her hair was not so soft as mine, and that she did differ in some way from the other ladies who came to the house” (Ex-Colored 13).

L’occhio del narratore non è più condizionato dall’affetto filiale, ma quello di un freddo antropologo che osserva la donna come se fosse un oggetto estraneo. Come riassume MacKethan, il narratore dimostra di avere fatto propri i pregiudizi della classe dominante anglosassone e di accettare senza riserve “the white perception that to be black is to be defective”8.
Il narratore interiorizza quindi una deformazione epocale: pensieri, parole e azioni saranno, da quel momento in avanti, “limited by one dominating, all-pervading idea” (Ex-Colored 15), dal fatto che egli sia riconosciuto come individuo nero in un mondo in cui questi occupa una posizione subordinata.
L’avere introiettato una nuova prospettiva che deforma il rapporto con il mondo rappresenta il filo conduttore che lega le esperienze successive del protagonista. La deformazione del colore, soprattutto, ha riflessi sul vivere sociale, in quanto la classe dominante utilizza il grado di pigmentazione cutanea per creare gerarchie e distribuire i diritti: per i neri, relegati al fondo di questa società, diminuiscono gli spazi di individualità e libera espressione.
Arrivato ad Atlanta con l’intento di iscriversi all’università locale, la stessa città dove Booker T. Washington aveva lanciato la sua piattaforma per l’emancipazione degli afroamericani, il narratore nota con sconforto la presenza soverchiante di neri appartenenti alle classi inferiori, riconoscibili da alcune peculiarità nel parlato e nella postura: “The unkempt appearance, the shambling, slouching gait and loud talk and laughter of these people aroused in me a feeling of almost repulsion” (Ex-Colored 36).
La reazione di disgusto non è tanto provocata dalla condizione delle persone viste per strada, quanto dalla consapevolezza che la società non fa alcuna differenza tra loro e lui – la vicinanza ‘cromatica’ costituirà un minimo comune denominatore sufficiente per essere relegato nella stessa categoria dei rozzi personaggi visti per strada, mentre tutto quanto lo distingue – l’istruzione, i modi, i gusti – non verrà mai considerato rilevante. Inoltre, in città, i neri frequentano solo ristoranti di basso livello, perché non esistono locali per neri raffinati e colti – il fatto che questi locali si servano di stoviglie sporche procura al narratore una reazione di fastidio. La politica razziale, dunque, da un lato costringe il protagonista a una forzata identificazione con una parte della popolazione con la quale sente di non avere niente in comune, e dall’altra non consente di usufruire degli agi che potrebbe permettersi.

Alla società bianca che raggruppa tutti i neri in un unico grande calderone, il protagonista reagisce offrendo al lettore brevi digressioni nelle quali descrive le diverse componenti della comunità afroamericana. A Jacksonville, la prima città dove risiede per un periodo prolungato ed entra in contatto con la comunità nera, il protagonista individua tre gruppi principali, ognuno caratterizzato da un diverso rapporto e atteggiamento nei confronti dei bianchi: i disperati, i servi, e i professionisti indipendenti. Anche qui, si nota l’abilità di Johnson nel giocare sulle ambiguità che si creano lungo il crinale della rappresentazione. Come già accennato relativamente alla Prefazione, nel presentare la diversificazione della comunità afroamericana da un lato il narratore controbatte alla visione stereotipica che considera tutti gli individui come una massa indistinta, in cui tutti sono uguali; dall’altro, così facendo, egli non si rende conto di riproporre la stessa strategia usata dalla società, incasellando a sua volta altri neri in categorie predefinite e negando loro spazi di espressione che eccedono le caratteristiche determinate dalla classificazione.

Contemporaneamente alla liberazione individuale, il protagonista nutre il desiderio di contribuire alla lotta per quella collettiva. Al compagno ‘Shiny’, uno dei pochi neri con cui il narratore intrattiene rapporti durante l’infanzia, viene affidato il compito di pronunciare un discorso alla cerimonia di consegna dei diplomi: il ragazzo recita con trasporto l’orazione che Wendell Phillips aveva dedicato al rivoluzionario Touissant l’Ouverture, icona della lotta per l’autodeterminazione delle popolazioni nere. La performance di Shiny e l’esempio dell’eroe haitiano instillano nel protagonista la brama di un possibile coinvolgimento nella battaglia per l’emancipazione della sua gente, e in questo intento intravede un possibile progetto di vita. Tuttavia, con il progredire degli anni, non parteciperà mai a momenti di rivendicazione di diritti: l’unica modalità di vicinanza alle battaglie politiche si ha sotto la forma mediata di testi che il narratore racconta di avere letto, come The Souls of Black Folk, di W. E. Du Bois, o fotografie di personaggi illustri che adornano le pareti di un locale notturno per neri, quali Frederick Douglass.
Dopo il soggiorno in Europa, il narratore scorge un modo originale per contribuire alla causa afroamericana, ovvero dare dignità al patrimonio musicale tradizionale. Anche in questo caso, il progetto non è privo di limiti strutturali.
Da un lato il protagonista, nel progettare il viaggio esplorativo attraverso il Sud rurale che gli avrebbe consentito di raccogliere i materiali, si lascia sfuggire alcune scelte lessicali (“I found a mine of material”, Ex-Colored 105) che configurano il rapporto tra lui e il materiale come appropriazione e uso di risorse per il profitto personale, suggerendo una continuità retorica tra la sua attività e lo sfruttamento delle materie prime dei paesi non sviluppati da parte delle potenze coloniali; dall’altro, la convinzione della necessità di rendere classico questo materiale attraverso un approccio musicale europeo mette in evidenza tutte le contraddizioni insite nel progetto. Ciò segnala da un lato l’idea che, per fare breccia nel pubblico anglosassone, sia necessario adattare il nuovo prodotto al suo gusto, e dall’altro che l’elevazione del folklore afroamericano a patrimonio condiviso debba avvenire tramite le modalità della cultura dominante.
La strana ‘predilezione’ per i tasti neri del pianoforte (“I remember that I had a paerticular fondness for the black keys” Ex-Colored 8) allude non solo a una identificazione con il colore, ma anche a un progetto impossibile, quello di creare una musica, totalmente nuova, che possa prescindere dalle tonalità tradizionali a cui i musicisti più sovente ricorrono e che comporta l’uso dei tasti di entrambi i colori. Una musica realizzata solo con i tasti neri e senza quelli bianchi è la metafora di un sogno, quello di dare vita a qualcosa che possa prescindere dal rapporto con l’élite anglosassone, rapporto che influenza la percezione che i neri hanno di sé stessi e tarpa la possibilità di libera espressione. Si tratta però di una musica utopica – le composizioni utilizzano entrambe le tipologie di tasti e una liberazione che prescinda dal rapporto con i bianchi non è possibile.

Sostene Massimo Zangari, Narrazioni etniche. Il romanzo di marginalità negli Stati Uniti (Mimesis Edizioni, 206 pag., 18 €, 2023)

La scelta definitiva di passare per bianco viene presa dopo avere assistito a un brutale linciaggio. Ancora una volta, abbiamo un corpo nero che non può decidere per sé ma è soggetto alla volontà – distruttiva – altrui.
Il protagonista non ha bisogno di ulteriori segnali, solo attraversando la linea del colore potrà liberarsi dalle costrizioni che ne hanno contraddistinto l’esistenza adulta. A questo proposito, non è casuale che dal momento in cui decide di abbandonare la comunità afroamericana, il protagonista intraprenda un percorso di miglioramento sociale o, come acutamente dice il narratore, “a white man’s success” (Ex-Colored 117).
L’ascesa finale si articola secondo i canoni della lingua frankliniana. In pochi paragrafi troviamo gli studi svolti con zelo, le privazioni (“I denied myself as much as possible in order to swell my savings” Ex-Colored 118), la condotta di vita integerrima, la rinuncia al fumo e all’alcol e gli inevitabili primi piccoli guadagni – tanto più preziosi in quanto “earned by days of honest and patient work” (Ex-Colored 118). In breve, grazie a oculati investimenti nel settore immobiliare, il narratore accumula una discreta somma. A coronamento dell’impresa, il matrimonio con una donna bianca la quale accetta di sposarlo pur essendo al corrente del suo segreto.
Tutto sembra filare liscio, il narratore sorride beffardamente al tiro (“practical joke”) che ha giocato alla società – un nero è riuscito ad aggirare i meccanismi che ne fanno un paria. Ma dopo pochi anni di felice unione, la moglie muore nel dare alla luce il secondo figlio. E cupi pensieri prendono il sopravvento. Il benessere conquistato duramente non fa di lui un individuo straordinario. Straordinari sono invece quegli afroamericani che lottano pubblicamente contro le discriminazioni. Costoro, ammette il narratore, stanno facendo la storia, e anche lui forse avrebbe potuto prendere parte alla gloriosa epopea di liberazione, anche lui avrebbe potuto impegnarsi per migliorare le condizioni dei suoi simili. Il romanzo, dunque, si conclude su una frattura tra individuo (non più) marginale e comunità, l’ultima grande contraddizione che il testo propone e rifiuta di risolvere.

1J.W. Johnson, Along This Way, Viking Press, New York [1933] 1945, p. 238.

2Cfr. C. Schiavini, “Passing,” in M. Maffi, C. Scarpino, C. Schiavini, S.M. Zangari, Americana. Storie e culture degli Stati Uniti dalla A alla Z, Il Saggiatore, Milano 2012, pp. 458-461.

3Cfr. N. Brooks, On Becoming an Ex-Man: Postmodern Irony and The Extinguishing of Certainties in The Autobiography of an Ex-Colored Man, in “College Literature”, 22.3, 1995, pp. 17-29; K. Pfeiffer, Individualism, Success, and American Identity in The Autobiography of an Ex-Colored Man, in “African American Review”, 30.3, 1996, pp. 403-419; H.R. Andrade, Revising Critical Judgments of The Autobiography of an Ex-Colored Man, in “African American Review”, 40.2, 2006, pp. 257-270.

4Le contraddizioni del sistema sono acuite dal fatto che anche il percorso inverso era possibile, cioè “passare” da bianco e nero. Nello slave narrative di William ed Ellen Craft si racconta di due ragazze, figlie di immigrati tedeschi, le quali, alla morte dei genitori, vennero rapite e vendute come schiave. Ai rapitori fu sufficiente garantire agli acquirenti che le due donne discendevano da schiavi. Cfr. W. Craft, E. Craft, Running a Thousand Miles for Freedom, in Andrews e Gates, Jr. (eds.) Slave Narratives, pp. 682-4.

5J.W. Johnson, The Autobiography of an Ex-Colored Man, Library of America, New York [1912] 2009, p. 5.

6H.R. Andrade, op. cit., p. 258.

7L.H. MacKethan, ‘Black Boy’ and ‘Ex –Colored Man’: Version and Inversion of The Slave Narrator’s Quest for Voice, in “CLA Journal”, 32. 2, 1988, p. 142.

8L. MacKethan, op. cit., p. 141.



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