Recensione di “Cultura tedesca 67. Letteratura al Caffè” a cura di Micaela Latini

Punto di riferimento per intellettuali artisti, giornalisti, critici letterari (ruoli che spesso coincidono o si alternano nella vita di uno stesso personaggio), il Caffè con la “C” maiuscola è al centro di un volume di studi che vuol essere occasione di riscoperta, aggiornamento e ampliamento per il pubblico di studiosi e, a sua volta, evento che porta a incontrarsi e confrontarsi germanisti e scrittori con background molto diversi. L’essenza del caffè letterario permea non solo i temi trattati nei singoli saggi, ma anche l’alternanza e la pluralità di voci raccolte nel volume a cura di Micaela Latini, specialista, non a caso, di rapporti tra filosofia e letteratura, simbiosi ebraico-tedesca e cultura austriaca, tutti aspetti che nel volume convergono nella fenomenologia del caffè letterario. Nato in Francia alla fine del Seicento (Le Procope apre a Parigi nel 1689), per poi diffondersi nel corso del Settecento in tutta Europa e in Italia, dove diviene un simbolo dell’Illuminismo, del Risorgimento e della modernità, il caffè letterario è tuttora meta irrinunciabile per chi non solo va alla ricerca di un gusto, ma è mosso dalla voglia di discutere della realtà intellettuale, culturale e sociale del tempo, di assistere o presiedere a letture e presentazioni di libri, spettacoli ed esposizioni d’arte.

Nel ricco fascicolo, che esce come numero tematico della rivista semestrale «Cultura Tedesca», si tengono insieme i contributi (tutti in italiano tranne due in tedesco) di 12 autori e autrici accomunati non dall’attenzione critica verso un autore o un movimento artistico ma per la cultura del Caffè in relazione alla storia artistico-letteraria dei Paesi di lingua tedesca o in cui il tedesco è stato lingua franca o lingua di minoranze. Ciò che emerge è un mosaico di situazioni in cui l’atmosfera che si respira nei Caffè può essere preziosa alleata dell’inventario concettuale del lavoro intellettuale, dello studio e della scrittura, ma può anche diventare ambientazione, scenario degli avvenimenti narrati, come sottolinea anche l’introduzione della curatrice.  La topografia del Caffè che si dispiega fra le pagine del volume collettaneo include così una costellazione di luoghi e ambienti molto diversi, da Trieste a Czernowitz, da Berlino a Zurigo, passando ovviamente per Vienna che è a sua volta al centro di una Szene mutevole e variegata: dallo storico Silbernes Kaffeehaus al mitico Café Griesensteidl legato allo Jung-Wien (su cui si sofferma poi anche Wolfgang Bunzel), dal Café Central (ricordate la descrizione del manichino di Altenberg in Danubio di Claudio Magris?) allo Herrenhof, dal Landtmann al ‘secessionista’ Café Museum, e ancora, al Café Sperl dei musicisti e del mondo teatrale al Café Korb e al Bräunerhof, tutti ricordati da Latini nelle sue dense pagine introduttive che ci guidano attraverso le tappe essenziali dell’evoluzione dei caffè letterari austriaci, centri nevralgici della cultura europea e mondiale, legando ogni sosta a grandi nomi di pensatori e intellettuali.

Il volume si apre con un saggio di colui che più di tutti ha contribuito a studiare la Stimmung mitteleuropea dei Caffè, alimentandone a sua volta l’immaginario: Claudio Magris, storico habitué del Caffè San Marco triestino, suo laboratorio testuale celebrato notoriamente in Microcosmi (1997). Ed è proprio a Trieste, città ‘ulteriore’, confine dialogante e caffè letterario su vasta scala essa stessa, che Magris porta i lettori della miscellanea: non si sa bene cosa sia, Trieste, condensato di epoche distanti dove il sentimento della vita umana si impone sotto forma di blackout fra passato e presente. Porto di mare e condizione di possibilità per un binomio molto particolare e paradigmatico, quello dello scrittore-commerciante e del commerciante-scrittore: qui si allarga il discorso anche al caffè inteso come bevanda, portando la tostatura triestina del caffè e le dinastie locali su un piano di simbiosi con la letteratura e di riflessione sulla complessità e contraddittorietà, anch’essa quintessenzialmente triestina, del legame con l’Impero absburgico, da cui la città si stacca politicamente ma cui rimane legata economicamente ancora a lungo.

Si sposta invece subito su Vienna Marino Freschi, che in poche righe, con un montaggio rapidissimo, ripercorre la storia del caffè e dei Caffè a Vienna, dalle origini storiche dal tono quasi leggendario (“Tutto cominciò con quelle centinaia di sacchi lasciati dai turchi all’assedio…”) fino allo Anschluβ e alla spettrale, martoriata città del secondo dopoguerra in cui i Caffè riaprono. In questa panoramica, l’autore del saggio analizza il “modello Bernhard” come momento di rinascita dell’atmosfera elegante e internazionale del Kaffeehaus viennese: Thomas Bernhard in un’opera come Wittgensteins Neffe (Il nipote di Wittgenstein) sceglie di ambientare larga parte del plot nel Café Bräunerhof, su cui si proiettano le vicende del protagonista, Sonderling che fa pensare immediatamente a personaggi di grillparzeriana e stifteriana memoria. Ma il Caffè emerge anche come Heimat e come ultimo rifugio di fronte alla massificazione e all’overtourism, riflessione quantomai attuale e trasversale, che apre la strada ai saggi successivi; ad esempio in quello di Marco Rispoli, che si concentra sulla narrativa di Joseph Roth, il Caffè viene mostrato nella sua valenza di surrogato illusorio del salotto buono ormai perduto e, in generale, di una Heimat ormai svuotata di ogni possibilità esistenziale. 

La sottile linea di demarcazione fra verità e mito della Kaffehausliteratur sono messi in dubbio dal saggio in lingue tedesca di Wolfgang Bunzel, e ancora di mito, segnatamente di “mito absburgico” a uso e consumo dei turisti, discute Paolo Di Paolo di fronte alla commercializzazione della nostalgia apparentemente onnipervasiva dei viennesi – non l’utopia retrovertita, sincera e sofferta, di uno Zweig, ma il culto a scopo lucrativo di Sissi e dell’Austria ‘Paese ordinato’, un’idealizzazione forzata che passa anche dai menù degli eleganti caffè del Ring. Stefan Zweig, già evocato, diviene poi con il suo Buchmendel (Mendel dei libri) l’oggetto dello studio di Roberta Ascarelli: in quest’analisi, l’immaginario Café Gluck, scenario della novella zweighiana, perde la propria concretezza per farsi contenitore di un programma memorialistico che ha nel ricordo il proprio epicentro sacro ed etico.  

Apparentemente eccentrica ma invece centrale rispetto ai tanti fili intrecciati nel volume, la rotta indicata da Massimiliano De Villa, che ci trasporta a  Czernowitz, piccola Vienna e “capitale segreta d’Europa” nel territorio multietnico della Bucovina fra Ottocento e Novecento. Oltre a indagare i nessi fra ebraismo e Kaffeehauskultur, vista come variante laica di una dimensione religiosa fortemente comunitaria, l’autore rievoca con tratti precisi l’atmosfera sontuosa e la vocazione internazionale dei locali di Cernovizza/Černivci, aspetti che contrastano drammaticamente coi fenomeni più tardi di uniformazione geopolitica della zona a seguito della spartizione fra Ucraina e Romania.

Micaela Latini (a cura di), Cultura tedesca 67. Letteratura al Caffè, Mimesis, 2024, 236pp., 22€.

Con Gabriele Guerra si torna invece a guardare ‘con gli occhi dell’Occidente’: l’attenzione dei lettori viene richiamata su somiglianze e differenze, dal punto di vista sociologico, fra il posto di tutto riilievo occupato dai Caffè negli studi di carattere storico-letterario, rispetto al ruolo tutto sommato minoritario che occupano le osterie nel discorso storico-artistico, e l’autore riporta il caso del zurighese Cabaret Voltaire, fondato da Hugo Ball, laboratorio di sperimentazione dada in cui sfidando le convenzioni si tenta la conciliazione di due tradizioni tradizionalmente divergenti. La Berlino di Raul Calzoni illumina invece letteralmente un Potsdamer Platz che pullula di vita, di giorno e di notte, negli anni della Repubblica di Weimar, fra caffè, ristoranti, grandi magazzini e locali vari: non solo la piazza si illumina intellettualmente, ma anche concretamente grazie allo sviluppo della rete elettrica e dell’illuminazione pubblica. In questo quadro, Café Josty, Café Vaterland e Café des Westens diventano i protagonisti di una stagione tanto intensa quanto fugace, quella della Moderne berlinese, che scorre davanti ai nostri occhi in una carrellata vivace e originalr. Altrove, Micaela Latini ci mette di fronte al “tavolo-mattatoio della Storia” cui si siedono vittime e carnefici della Storia recente, e lo fa attraverso le immagini del Caffè viennese nell’opera di Ingeborg Bachmann. Non più rifugio, né ritrovo, il Caffè diventa teatro di spaesamenti e di (tentata) rielaborazione del trauma collettivo della guerra e del nazismo, assieme alle ineludibili questioni della colpa, della responsabilità e della persistenza del Male. 

Restano in Austria anche Cornelius Mitterer e David Österle con un contributo in lingua tedesca sul ruolo giocato dal Kaffeehaus  nel rapporto d’amicizia fra le due scrittrici Elfriede Jelinek ed Elfriede Gerstl, famosa la prima già negli anni Settanta, più di nicchia la seconda ma comunque nota nell’ambiente letterario, in parte proprio grazie alla mediazione dell’altra Elfriede. In particolare il saggio mette in rilievo le dinamiche legate al mostrare e al celare messe in atto nel caffè, inteso come spazio unico di rappresentazione in cui l’ospite è attore e spettatore al tempo stesso. E in un Caffè austriaco, da cui guardare al vasto mondo con ironia, “senza esserne importunati”, si conclude il percorso tracciato nel volume, con Alessandra Schininà e la sua riflessione intorno alla Kaffeehauskultur nella vita e nella scrittura di Robert Menasse, forse ultimo erede vivente della tradizione tipicamente austriaca di rapporto stretto e stratificato fra caffè e letteratura, che vede sovrapporsi il piano autobiografico, quello storico-letterario e quello filosofico-esistenziale. Arricchiscono infine il fascicolo, nella sua sezione non tematica, il saggio di Antonio Locuratolo sulla rielaborazione e riscrittura di Die Soldaten di Lenz da parte di Kipphardt, che ne inasprisce criticamente i contenuti politici, e una scelta di recensioni. 

Il libro, in conclusione, invita a scoprire nuovi e vecchi saperi, sapori e dissapori legati al Caffè e si fa piattaforma di lavoro collettivo e di condivisione, proprio come lo spazio che intende descrivere e restituire nelle sue molte accezioni, atmosfere e latitudini. 


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