Rifugiati senza rifugio

 

 

La reazione a dir poco inadeguata di alcuni Paesi membri dell’Unione europea di fronte ai popoli in fuga che cercano scampo da guerre e persecuzioni ripropone ancora una volta l’incapacità politica di trovare una soluzione al dilemma che sta al cuore delle democrazie liberali: quello tra l’adesione ai principi universali dei diritti umani, da una parte, e la rivendicazione del diritto sovrano al controllo esclusivo dei movimenti di attraversamento dei confini, dall’altra. Come è sempre più drammaticamente evidente, neppure situazioni estreme come quelle che abbiamo tutti sotto gli occhi sembrano tali da costringere gli Stati sovrani ad accollarsi l’onere di accogliere i rifugiati sul proprio territorio, e ciò anche quando sembra chiaro che gli atti spontanei di umanitarismo non possono compensare il disimpegno istituzionale delle democrazie liberali in materia d’asilo.

Un autorevole filosofo politico americano, Michael Walzer, ha sostenuto una volta che “il diritto umano fondamentale dei rifugiati non è di essere ammessi qua o là, ma semplicemente di essere aiutati”. Sebbene Walzer abbia ovviamente ragione quando afferma che i rifugiati hanno bisogno di essere aiutati, egli evidentemente sottovaluta il fatto che gli aiuti dipendono in larga misura da procedure giuridiche. Non solo da buona volontà e generosità umana, ma (anche e soprattutto) da scelte compiute entro un quadro normativo e strategico. La condizione di limbo giuridico tra diritto nazionale e ordine internazionale in cui, di fatto, si trovano attualmente i rifugiati richiede un diritto di asilo nel senso che Hannah Arendt aveva attribuito al meta-diritto sopravvissuto alla distruzione dei “cosiddetti diritti umani”: il diritto ad avere diritti.

Dando prova di uno scetticismo – se consideriamo l’epoca – tutt’altro che ingiustificato, Arendt non riteneva che l’ordinamento giuridico internazionale potesse evolversi fino al punto da garantire a tutti gli esseri umani il diritto ad avere diritti. E tuttavia ci si potrebbe chiedere: la difficoltà di dare forma giuridica al diritto ad avere diritti testimonia di un’impossibilità concettuale o di una difficoltà pratica? Se si aderisce a uno dei principi fondamentali dell’universalismo morale e si collega la politica all’idea che a ogni essere umano spetti il diritto umano dell’appartenenza, è possibile interpretare il diritto di asilo come un diritto condizionale ad avere diritti. Tuttavia, affinché un diritto soggettivo di asilo sia efficace, è necessario fissare alcuni criteri per distinguere tra le diverse categorie di migranti, per esempio i migranti che hanno il diritto di chiedere asilo dai migranti per ragioni economiche. Inteso come un diritto soggettivo che spetta ai rifugiati politici, il diritto di asilo mira a restituire i diritti civili ai singoli o ai gruppi che vediamo accalcarsi di fronte a una recinzione di filo spinato innalzata in fretta e furia solo per loro. Può essere perciò inteso come un istituto giuridico che serve a integrare nelle comunità politiche di arrivo le persone che hanno perso i diritti di cittadini nelle comunità politiche di provenienza: si tratta dello specifico diritto umano a godere dei diritti civili in ogni comunità statuale che riposi sulla democrazia delle istituzioni.

Finora però tutti i tentativi di codificare il diritto di asilo come un diritto soggettivo realmente valido sia nell’ambito del diritto nazionale sia nell’ambito del diritto internazionale hanno finito per arenarsi, e per buone ragioni. La decisione di interpretare i diritti umani come diritti soggettivi, cioè come norme giuridiche che hanno per loro natura carattere istituzionale, deve anche sempre essere accompagnata da una definizione delle condizioni che permettono l’incasso giuridico, per così dire, delle loro pretese di validità e che siano tali da renderli, come anche si dice, giustiziabili. Nonostante il pluralismo delle tradizioni giuridiche che caratterizza le democrazie occidentali, vi è però ampio consenso sul fatto che i diritti negativi hanno la priorità sui diritti positivi. I diritti negativi rappresentano perciò la precondizione giuridica e normativa alla quale va commisurato il diritto di asilo.

Se si guarda al problema dal punto di vista delle drammatiche esigenze create dalle persecuzioni politiche che flagellano molte aree del nostro pianeta, un impegno pubblico volto a introdurre un diritto soggettivo di asilo nel diritto internazionale non sembra più rinviabile. Nel diritto internazionale non esiste una normativa specifica che regoli la condotta degli Stati in questa materia. La Dichiarazione universale dei diritti umani è singolarmente reticente circa l’obbligo degli Stati di garantire l’accesso ai rifugiati. I loro diritti non hanno, a questo proposito, destinatari specifici. L’asilo non viene riconosciuto come un diritto soggettivo dell’individuo, ma è sottoposto al potere discrezionale dello Stato, cui spetta decidere, nell’ambito dell’esercizio della propria sovranità, se concederlo o meno. Se però si vuole evitare di trasformarlo in un’aspirazione vuota e irrealistica, è necessario che riposi su una chiara definizione di persecuzione politica, così da evitare che possa essere incorporato nella legislazione ordinaria che riguarda l’immigrazione e che si riferisce a fattispecie giuridiche che vanno tenute distinte.

Un diritto soggettivo di asilo non può essere incondizionato e richiede chiari ed espliciti criteri di ammissione. Questi criteri devono essere definiti su base politica ed essere distinti dalle condizioni economiche e culturali. È possibile tracciare una distinzione di questo genere? Una possibile risposta potrebbe consistere nel definire il diritto di asilo in rapporto alla prima dimensione dei diritti umani (diritti umani civili e politici) a prescindere dalle norme giuridiche che regolano l’immigrazione, dal momento che queste ultime vertono essenzialmente sui diritti connessi a una seconda dimensione dei diritti umani (diritti umani economici, sociali e culturali).

Qualunque sia l’interpretazione del diritto di asilo, la definizione di “persecuzione politica” rimane naturalmente cruciale. La definizione più opportuna non può che fare a riferimento all’inesauribile sostanza normativa incorporata nel sistema dei diritti umani, civili e politici e traslitterata nei testi costituzionali dello Stato democratico. Ma il problema giuridico che investe la questione della persecuzione politica si riferisce al mancato rispetto del rule of law nel paese di provenienza del rifugiato. Il diritto di asilo dovrebbe essere perciò codificato come un diritto soggettivo alla cittadinanza (eventualmente ‘pro tempore’) che spetta a ogni persona i cui diritti civili siano stati violati nel paese di origine. Perciò la definizione di persecuzione politica va ricondotta alle convenzioni internazionali, che costituiscono l’orizzonte giuridico universale dei diritti umani civili e politici. Dalla Dichiarazione universale dei diritti umani alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati con il suo protocollo aggiunto nel 1967, dal Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950.

Pertanto, in conformità con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, la definizione di persecuzione politica è correlata alla violazione dei diritti civili di un individuo o di un gruppo di persone. Può essere considerato rifugiato politico chiunque venga espulso dallo Stato di origine, venga privato dei diritti civili oppure ancora lo Stato tolleri (o sia connivente con) le persecuzioni “privatizzate” perpetrate da gruppi non direttamente riconducibili ai suoi apparati di sicurezza e di controllo. Perciò, tranne i casi in cui gli individui godano della doppia cittadinanza, i rifugiati a cui venga consentito l’asilo per proteggerli dalle persecuzioni politiche dovrebbero avere il diritto di godere dei diritti civili nel paese di accoglienza fino a quando non venga posta fine all’elemento giuridico oggettivo e alla paura soggettiva della persecuzione. Naturalmente tutto ciò è altamente controverso. Ma la pratica dell’asilo politico può essere salvaguardata solo se – in linea con gli univoci doveri negativi di una morale di giustizia universalistica – i diritti civili possono essere sufficientemente distinti dai diritti culturali, sociali ed economici. Sarebbe compito di un diritto di asilo a livello europeo definire in modo giuridicamente vincolante il diritto di asilo per renderlo uno strumento efficace ai fini della protezione dei rifugiati politici, se non altro per ri-provare a trovarsi in consonanza con la base di giustizia radicata nelle disposizioni culturali all’origine dell’Unione europea.

 

Edoardo Greblo interverrà al Festival Mimesis-Teritori delle idee il giorno 25 ottobre



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