UNA MOLTEPLICITÀ DI ANIMALI SENSUALI
Intervista di Massimo Filippi e Marco Reggio
La nozione di volto è centrale nella filosofia di Emmanuel Lévinas. Nonostante l’antropocentrismo del filosofo francese, tale nozione potrebbe comunque rivelarsi feconda per lo sviluppo di un’etica e di una politica a favore della liberazione animale. Tuttavia, quando gli venne chiesto esplicitamente se un serpente avesse o meno un volto, Lévinas confessò, con qualche esitazione, che non aveva un’idea precisa al proposito. Qualcosa di simile si potrebbe affermare anche per il concetto da lei sviluppato di “vita degna di lutto”, che è certamente uno strumento potente per promuovere la liberazione animale, anche se il suo reale impatto in ambito antispecista non è stato ancora completamente esplorato. Secondo lei, un serpente possiede una vita degna di lutto? Detto altrimenti: una vita degna di lutto coincide con la vita umana oppure la eccede?
La vita degna di lutto non può che comprendere anche la vita animale. La vita umana è già vita animale, seppure al tempo stesso non includa tutta la vita animale. Un fatto che possiamo affermare sulla vita animale è che esiste una molteplicità di animali e non un singolo animale. L’umano appartiene a questa molteplicità. Dovremmo provare ad ascoltare Lévinas quando cerca di spiegare ciò che sostiene; un concetto filosofico può spesso avere implicazioni che eccedono le intenzioni esplicite del suo stesso autore. Questo è certamente il caso di Lévinas. È lui stesso a dirci che il volto esprime il comandamento «Non uccidere» e che questo non va inteso in senso letterale. Lévinas ha affermato che anche un suono può esprimere tale comandamento e assumere la funzione del “volto” – il volto non deve per forza essere qualcosa che ci colpisce visivamente; esso può anche agire attraverso gli altri sensi. Gli animali sono esseri sensuali, la cui sofferenza ed esistenza sono percepibili attraverso il suono e il movimento; gli animali, pertanto, possono – e di fatto lo fanno – esprimere una medesima proibizione a uccidere. La vita umana è dipendente dagli animali non umani ed entrambe queste forme animali dipendono da processi vitali che comprendono dimensioni naturali e dimensioni tecniche. Dobbiamo perciò ripensare l’antropocentrismo di Lévinas per riuscire a definire al meglio come salvaguardare il vivente.
Il dialogo che lei ha intrapreso con Michel Foucault è intenso e importante. Mentre concorda con alcuni aspetti del suo pensiero, ne critica altri, tra cui la sua visione della psicoanalisi. Che cosa pensa della nozione foucaultiana di “biopolitica”? Avrebbe forse dovuto parlare di “zoopolitica”, dal momento che è evidente, dai suoi stessi scritti, che è l’impersonale vita animale, che attraversa anche l’umano, ciò che la politica, almeno a partire dal XVIII secolo, intende controllare, disciplinare e, in ultima analisi, addomesticare?
Forse Foucault avrebbe dovuto riflettere sulla vita animale. La mia difficoltà con la “biopolitica” è che oggi non è un concetto capace di farci fare molta strada; oggi ciò che passa sotto il termine di biopolitica potrebbe essere meglio descritto dalla nozione di “necropolitica” sviluppata da Achille Mbembe. Foucault ha compreso che gli atti sovrani di messa a morte hanno ceduto il posto a manifestazioni burocratiche del potere che lasciano che le persone muoiano. Tuttavia, le forme di uccisione diretta non sono scomparse (ad esempio, la pena di morte negli Stati Uniti, in Egitto e altrove) e si manifestano anche attraverso azioni di guerra condotte contro obiettivi specifici. Queste forme di uccisione esplicita e deliberata sono pienamente compatibili con la gestione biopolitica delle popolazioni. Forza lavoro a perdere e popolazioni a perdere sono termini demografici che si sovrappongono. È possibile scivolare da una categoria all’altra con estrema facilità. Quando pensiamo alla vita animale e agli ambienti, dobbiamo renderci conto che le condizioni stesse per una vita sostenibile e vivibile sono distrutte dalla guerra, ad esempio attraverso la contaminazione del suolo. Quindi, quando cominciamo a pensare a come gestire la vita, ci troviamo già oltre l’umano.
Qual è la differenza tra la sua nozione di vita precaria e quella di nuda vita sviluppata da Giorgio Agamben? E ancora, la vita precaria attraversa la barriera umano/animale?
Penso che “nuda vita” sia un concetto connesso alla questione della sovranità. Personalmente, non sono convinta che sia molto utile per descrivere la situazione dell’espropriazione radicale. Certo, una vita specifica può essere espulsa dalla polis e il potere sovrano può rifiutarsi di proteggerne i diritti; ma questa è davvero una forma di vita completamente esposta, una vita che non appartiene più alla sfera della politica? Oppure dovremmo pensare a questa vita non solo nei termini del rapporto che intrattiene con il potere sovrano (che revoca la sua protezione e i suoi diritti), ma anche attraverso le modalità di governo della popolazione che non sono organizzate da tale potere (tema questo squisitamente foucaultiano)? Inoltre, per fare solo un esempio, dovremmo ritenere che gli apolidi, che vivono in rifugi – o nelle loro vicinanze – posti ai confini dell’Europa siano “fuori” dal potere semplicemente perché non più tutelati dalla sovranità? Mi pare invece che queste popolazioni siano sature di potere e che sviluppino forme di resistenza loro proprie. Non sono sicura che la nuda vita possa resistere – e mi domando se non sia qualcosa di impossibile prevedere che la vita possa essere completamente separata dal potere. Nuda vita descrive un essere spogliato di potere o spoglia quell’essere del potere?
Nel discorso tenuto a seguito del ricevimento del Premio Adorno 2012, lei ha sottolineato come sia difficile condurre una “buona vita” in un contesto sociale “cattivo”, per il semplice motivo che sono proprio le relazioni con gli altri ciò che ci costituisce. In altri termini, lei ha collegato strettamente la morale alla politica. Non pensa che la questione dell’animale, la derridiana guerra sulla pietà, il movimento antispecista e il veganismo indichino tutti in questa stessa direzione?
Sono convinta che questi movimenti si stiano sforzando di mettere in rilievo le reti di interdipendenza che normalmente non vengono riconosciute. È vero che collego la morale alla politica; facendo questo, probabilmente seguo una tradizione che può essere fatta risalire ad Aristotele, Arendt e Adorno. Questo non significa, però, che la politica possa essere ridotta alla morale, ma semplicemente che la morale comporta spesso relazioni di potere.
Possiamo paragonare quanto in corso a Gaza alla condizione degli animali non umani al mattatoio?
No, non credo che il principale principio organizzativo operante a Gaza sia quello della “carneficina”. Anche se al momento è sotto assedio, Gaza ospita molti movimenti politici differenti che stanno cercando di immaginarsi che aspetto possa assumere l’autodeterminazione palestinese in tali condizioni. Il razionamento dell’acqua e dei beni da parte delle autorità israeliane è causa di una situazione di enorme scarsità a Gaza, al pari della violenta disoccupazione imposta alla maggioranza della popolazione che vi abita. I bombardamenti sono frequenti e lo spettro della morte sotto bombardamento è una presenza costante; ciò, però, non significa che questo sia l’unico aspetto che regola la vita quotidiana. Forse, sarebbe meglio resistere alla tentazione di instaurare analogie che non ci permettono di cogliere la specificità della situazione in atto a Gaza, situazione che è caratterizzata da un’intensa conflittualità politica e da tentativi di ricostruzione che sono continuamente messi a repentaglio dalla mancanza di materiali e dal ripetersi degli attacchi. La questione è se Gaza verrà riunificata al resto della Palestina e come tale riunificazione potrà realizzarsi. Seppure taluni pensano che solo la West Bank sia sotto occupazione, anche l’“assedio” è uno strumento di occupazione: gli abitanti di Gaza non controllano un solo centimetro dei loro confini. Perciò, anche se nominalmente indipendente, Gaza è di fatto occupata